la sua anima era vecchia e stanca,
e le anime vecchie e stanche alle volte potevano essere amare,
anche rabbiose, soprattutto con le anime di quelli
che non provavano la sua stessa amarezza e la stessa rabbia.
(pag. 762)
Caro Blog,
tra qualche giorno mi dedicherò all’allestimento della “casa stregata”.
La mia idea di “pauroso” si sposa con quella di Winnie the Pooh e di Molang… giusto per darti due coordinate di ciò che avviene nel mio cervello.
Eppure il mio sonno è disturbato da incubi terribili.
Si alternano vampiri che vengono scarnificati dal potere dell’amore,
zombie che allontano con le preghiere e, ultimo,
il più terribile di tutti:
la morte delle persone a cui voglio bene.
Le loro anime erano salite su una barca, simile a quella degli elfi che lasciano per sempre la Terra di Mezzo, che galleggiava su un mare azzurro e limpido come ho visto solo in alcuni pomeriggi invernali.
Un gruppo di tritoni e sirene circondava la barca e mi impediva di salire.
Malgrado i miei pianti disperati e le mie suppliche, sarebbero andati via senza di me.
I miei cari erano sereni e mi dicevano che non dovevo piangere, che era per loro il momento di partire, perché erano stanchi.
Mi sono svegliata con la netta sensazione di essere sola al mondo e senza alcuno scopo per andare avanti.
Non sono mai stata tanto triste.
Allora ho pensato a un libro, quello che ho letto recentemente: 4 3 2 1, di Paul Auster.
In questo romanzo si sviluppa l’idea del “come sarebbe andata se…”.
Il protagonista vive quattro vite possibili ed è curioso notare come il nucleo centrale delle sue conoscenze resti costante, pur con alcune varianti.
Quello che ho apprezzato di questo romanzo sono l’impianto stilistico e il sottofondo storico.
Puoi decidere di leggere le vite in modo singolo, capitolo per capitolo,
oppure osservare come le quattro strade procedano simultaneamente l’una accanto all’altra: come si evolvono i vari rapporti, modificando i caratteri, le capacità di reagire agli eventi personali e storici dei diversi protagonisti.
Un libro veramente ben scritto. Bello in termini assoluti.
Ma che, personalmente, non ho apprezzato.
Nel senso che, in fin dei conti, la storia del protagonista era pur sempre incentrata sul mondo di un ragazzo che è rimasto lontano da me.
Con il quale non ho potuto mai immedesimarmi.
Umanamente parlando, potevo ascoltarlo, ma senza mai entrare veramente in contatto con lui.
Capivo e amavo il suo essere bambino,
ma crescendo non ho visto nulla che me lo ricordasse.
A mio avviso, anche la promessa che avevo intravisto nella quarta di copertina è stata tradita.
Quando ho letto: “le sue traiettorie [della vita] sono diverse ma tutte, misteriosamente, incrociano lei, Amy”, mi sono aspettata di vedere un amore particolare, che emergesse in ogni possibile esistenza.
Mi sbagliavo.
Amy è rimasta sempre sullo sfondo. Avrei voluto conoscere meglio, e più in profondità, le passioni che muovevano il suo cuore, le sue azioni.
Mi è sembrata solo una comparsa. Uno strumento più che una persona, un’ombra! di cui si è servito l’autore per dare un po’ di spessore al suo beniamino.
Discorso diverso per la figura della madre, probabilmente il personaggio che ho apprezzato maggiormente.
Una donna forte, con un pensiero autonomo e indipendente, capace di rialzarsi mille e più volte, di sostenere gli altri e sé stessa.
Non ha bisogno di parlare direttamente con il lettore, perché si esprime con le azioni e con la fotografia.
Voglio ricordare anche le figure della nonna e della zia, sempre materne, perché mentre scrivo mi rendo conto di quanto siano state importanti nelle vite di Archie.
Forse le figure femminili sono state la cornice che ha tenuto unite queste storie.
Senza di loro — la nonna, la madre, la zia, Amy — Archie non sarebbe mai esistito.
Gli appassionati d’arte sarebbero più bravi di me a spiegare quanto sia importante, per un quadro, la sua cornice.
Silenziosa, sempre ai margini, mai protagonista: è lei che protegge l’opera d’arte e le conferisce nobiltà e potenza.
Facci caso, la prossima volta che visiti un museo.
In conclusione, forse è questo che mi ha lasciato il romanzo: la consapevolezza che, pur cambiando le vite, gli incontri, i destini, esiste sempre qualcosa o qualcuno che ci tiene insieme.
Un filo invisibile che, anche quando sembra allentarsi, ci impedisce di disperderci completamente.
Mi piace pensare che le figure femminili del libro siano proprio quel filo: non protagoniste rumorose, ma presenze che tengono saldo il tessuto delle storie, come mani che rammendano uno strappo.
Come se l’immagine della donna al telaio fosse incisa nelle nostre anime — da Penelope, alla Bella Addormentata, fino alle Moire.
Che sia questo ciò che sto cercando anch’io, nei miei incubi e nei miei sogni?
La rassicurazione che qualcuno, da qualche parte, continui a rammendare la mia vita con la stessa tenerezza silenziosa.
Forse non inserirò 4 3 2 1 tra le mie letture preferite, ma mi ha ricordato che ogni vita, anche la più dolorosa o incompleta, è sempre parte di un disegno più grande — e che, come nella mia “casa stregata”, la paura non è mai fine a sé stessa.
Serve solo a mostrarci quanto desideriamo restare.
E quanto, nonostante tutto, continuiamo ad amare.