mercoledì 27 novembre 2024

Tutte le Cosmicomiche - Italo Calvino

Là dove il grigio aveva spento ogni sia pur remoto desiderio
d’essere qualcos'altro che grigio,
solo là cominciava la bellezza.


Caro Blog,
buongiorno!
Oggi splende un sole bellissimo, che trasforma l'Autunno in una stagione gradevole e dai colori brillanti. Mi piacerebbe poterti far vedere il gioco di luce tra le foglie gialle o i riflessi che si creano tra Cielo e Mare. Ma il mio occhio vede qualcosa che la fotocamera non riesce a immortalare. Per quanto mi sforzi, non riesco a fissare in uno scatto ciò che il mio cuore osserva. Dovremo lasciar fare all'immaginazione.
Inutile dirti che un Autunno così, per altri versi, mi preoccupa. Poca, pochissima pioggia. L'Estate prossima sarà lunga e difficile.
Ma per il momento mettiamo da parte le preoccupazioni. Sto continuando la mia avventura con il Finnegans e inizio a individuare un filo da seguire; mi sento Teseo nel labirinto del Minotauro. Non so quando riuscirò a parlartene, se lo farò di volume in volume o fingerò di non averlo letto. Per questa settimana mi rifugio tra le pagine di una nostra vecchia e amata conoscenza: Italo Calvino. Che dire? Era da tempo che sentivo una specie di attrazione gravitazionale nei confronti di questo testo e alla fine ho ceduto al suo richiamo.
Tra tutte questa è forse l'opera "calvina" a me più affine.
Il mio libro è edito Oscar Mondadori e racchiude in sé, senza però ripetere i capitoli (se tali possiamo chiamarli), sia le Cosmicomiche vecchie sia le nuove.
Sappiamo infatti, che le Cosmicomiche sono state pubblicate e ripubblicate in diverse occasioni e ogni volta il suo autore ha portato delle modifiche nell'ordine dei racconti, o aggiungendone altri.
Italo Calvino era una di quelle persone che non si fermano mai, il cui cuore batte più velocemente della media e i cui pensieri corrono più rapidi e affollati rispetto ai pensieri degli altri. E lo amiamo anche per questo.

Leggiamo dall'intervista che Calvino concesse nel gennaio del 1985 a Michele Neri: "Certo: quello che conta è la possibilità di dare un senso al passato con continue correzioni apportate al presente. La vita ha sempre bisogno di ritocchi, aggiunte, note a piè di pagina. Proprio come la pagina scritta. La morte interviene interrompendo questo processo e tutto diviene irrevocabile."
E a proposito di tempo e dell'idea che di esso ne aveva Calvino, ti consiglio la lettura di questa pagina; io l'ho trovata molto interessante. 

Trovare sé stessi è un viaggio senza fine.
A volte non è il fine che interessa, ma il mezzo. Il provare, il fermarsi, il ritornare indietro sui propri passi; sempre pronti a modificarsi.
Le Cosmicomiche sono veramente un viaggio indietro e avanti nella storia del Tutto. Da quell'istante To (ti con zero) da cui tutto è partito o tutto è finito.

All'inizio di ognuna delle storie del vecchio Qfwfq, c'è un intro riguardante una notizia scientifica -diciamo così- che dà il là al racconto.
Ho apprezzato tanto questa caratteristica del libro. Che per un attimo sono stata tentata di ricopiarmele tutte!
Calvino non delude mai; un esempio supremo di quello che una bella mente può fare.
Decisamente è uno dei miei creatori di mondi preferito!

giovedì 21 novembre 2024

La lezione di Enea - Andrea Marcolongo

 Enea prega e onora poiché anche questo - soprattutto questo - fa parte del resistere.
La fede negli dèi è l'unico strumento che il Fato ha concesso agli uomini,
che sempre hanno bisogno di sperare per continuare a vivere.


Ciao Blog,
ho iniziato il progetto Finnegans Wake. Anticipazione: non ci capisco niente! Devo essere davvero ignorante. Così ignorante, che potrei per la seconda volta in vita mia abbandonare una lettura per mancanza di volontà. E dire che ne ho lette di cose al riguardo, prima di imbarcarmi in questa nuova avventura! E quindi la "trama" se così vogliamo dire per semplificare, mi è chiara. Ma non la trovo nel testo! Non trovo piani possibili di lettura e di interpretazione; nemmeno il più semplice.
Più che una Ulisse, dovrei immaginarmi come una Argonauta! O perché no? Un'esule come Enea!
A tal proposito: l'eroe troiano ne ha fatta di strada! Ma non viene menzionato o citato come gli eroi greci, quando si parla di viaggiatori. Nel mio caso è colpa di quel XXVI canto della Divina Commedia. Ma se leggi questo bellissimo saggio della scrittrice Andrea Marcolongo, ti renderai conto che le ragioni sono diverse e purtroppo non limitate alla mia persona. Tempo e Merito, ma anche molti lettori temo, non sono stati generosi con l'opera di Virgilio, l'Eneide. Sempre considerata un'opera minore, secondaria; una sorta di pot-pourri dei poemi omerici. Ad essere sinceri, i miei insegnanti non me l'hanno mai "venduta" in questi termini. Ma nel bene o nel male, un singolo caso non rappresenta la media; ragion per cui fanno fede le parole di una scrittrice preparata, non quelle di una grafomane asociale e ignorante.

Mi duole fare un'altra ammissione: ho letto questo libro tempo fa. Quindi ti parlerò delle belle sensazioni che mi ha lasciato. I dettagli sono ormai un'ombra persa nell'Ade. Per recuperarli ti invito alla sua lettura. Non sarai deluso.

La prima è un'osservazione che riguarda specificatamente lo stile del saggio.
La nostra nuova amica, scrittrice e giornalista, Andrea Marcolongo, non è semplicemente "brava" e "preparata"; ma porta nella sua scrittura tutta la bellezza e la magia di chi può fregiarsi di una cultura in Lettere classiche.
Non me ne vogliano le altre lauree ma è mio modesto parere, personalissimo e privo di critica: la Laurea in Lettere Classiche è "La Laurea" per antonomasia.
E si respira in queste pagine scritte in un modo melodioso.
Quando finisci il saggio hai voglia di leggere e rileggere, di immergerti nell'Eneide di Virgilio! E credo sia il merito dei saggi scritti bene.

La seconda bella sensazione è tutta per il Vate Virgilio.
Nel mio spirito, forgiato nelle aule scolastiche del XX° secolo, è la Guida per eccellenza. Colui che può aiutarmi ad uscire dall'Inferno del qualunquismo, dell'ignoranza, del meschino.
Il Poeta di Mantova, le cui spoglie riposano secondo la tradizione popolare a Napoli, è per me il più grande poeta latino e "d'Italia", cioè di una nazione che ancora non esisteva alla sua nascita.
Magari io non faccio parte dell'ambiente, ma a mio parere meriterebbe un'attenzione e una devozione maggiori. Se scrivo "Virgilio" nella barra di ricerca di Google, il primo suggerimento è per il provider di mail: inaudito.
Per non parlare del numero di strade o monumenti a lui dedicato: irrisorio.
A tal proposito cito il monumento dedicato all'opera del Poeta, situato a Brindisi, dove egli dimorò per alcuni anni e dove morì. Virgilio compì l'ultimo viaggio in Grecia per approfondire i luoghi da cui era partito il suo Enea. Come approdo per i suoi eroi, scelse Brindisi, con il suo porto a forma di cervo; qui, dunque, toccarono per la prima volta il vaticinato suolo, al grido: "Italia". 

La terza ed ultima sensazione che voglio condividere con te è la forte impressione e commozione che Enea ancora oggi mi suscita.
Enea lo immagino come il suo autore: silenzioso e schivo. Entrambi uomini di intelletto più che di spada, poco avvezzi a parlare in pubblico, con una mente che tutto osserva e scandaglia.
Virgilio scrive l'Eneide perché non può svincolarsi dalla richiesta del suo principe Ottaviano Augusto, che gli commissiona un'opera per la gloria della sua famiglia e della sua dinastia, e quindi del suo impero e del suo agire.
Virgilio non può certo dire di no ad Augusto, ma la sua visione della storia, del presente che vive, è diverso da come lo descrive lo stesso Ottaviano.
Allora la tira per le lunghe; accetta il lavoro ma non lo porta a termine. E in punto di morte, sarà sua richiesta distruggere l'opera incompleta, che mai riuscì a revisionare, completare. Ma come in tanti altri casi da Kafka a Joyce, questa richiesta non viene esaudita. E direi anche: fortunatamente.

Ecco perché Enea è unico.
Non rappresenta un eroe inarrivabile, finito, perfetto, con il sorriso luminoso e i muscoli oleati.
Egli è l'uomo rappresentato nella sua debolezza e direi pertanto, nella sua grandezza.
Enea piange, si commuove. Non è un guerriero spietato. Si preoccupa del padre e del figlio. Si preoccupa dei suoi uomini. 

Con sé non ha schiavi né tecnologie né magie: ha solo i Penati, gli spiriti protettori della sua famiglia dispersa, sottratti ex oste allo scempio. È tenendo per mano il passato che Enea intende costruire il futuro in Italia. Per farlo, conosce solo una strategia: la pietas.

E a questo punto Andrea Marcolongo sale in cattedra e ci regala una pagina saggistica che dovremmo tutti imparare a memoria. Con buona pace dei fascisti di Mussolini e dei detrattori del Bene, di quelli cha hanno bisogno di slogan per andare avanti, di quelli che seguono ciecamente le mode e osannano l'ignoranza, di quelli che seguono "la pancia" (- abominio! -): Enea è l'uomo della pietas. Quella pietas intraducibile in italiano e in altre lingue (- ciao Joyce! -) che o comprendi nel sangue nelle ossa, o eviterai come lo sguardo di Medusa!
La pietas è il senso del dovere; l'agire con serietà, il fare perché è giusto così. Non c'è un altro volere, un altro procedere. Enea è l'uomo che non ha nulla ma ha tutto: ha sé stesso con il suo carico di costumi e di conoscenze ereditato dagli uomini e dalle donne che lo hanno preceduto.
Altro che "eroe minore"!
Enea è il vero eroe contemporaneo: solo, immerso nello scandalo del dolore.

 Questo saggio è stato elaborato nel periodo della Pandemia, negli anni del Covid-19.
Un tempo sospeso, in cui si pensava avremmo parlato di un "prima" e di un "dopo".
Quando si avvertiva l'urgenza di non lasciarsi andare allo sconforto, di andare avanti, procedere esatti ed incerti.
Abbiamo poi visto com'è andata a finire.

La lezione di Enea non la voglio dimenticare. Voglio tenerla viva nel mio cuore.
Voglio imparare a guardare al futuro mantenendo ben salda la speranza e la capacità di resistere.
"Ce la faremo!"
Vorrei anche urlare: "Ce l'abbiamo fatta!".

lunedì 18 novembre 2024

La vita dell'altro; Svevo, Joyce: un'amicizia geniale - Enrico Terrinoni

 "E ora che sono io? Non colui che visse ma colui che descrissi", e ci regalò
una meravigliosa visione del futuro in cui profetizzò che "la vita sarà letteraturizzata", "ognuno leggerà sé stesso", e "la propria vita risulterà più chiara o più oscura, ma si ripeterà, si correggerà, si cristallizzerà": non sarà più "quale è priva di rilievo, sepolta non appena nata".
La letteratura come resurrezione, lo scrivere come nuova vita.

Caro Blog,
archiviata la notte più misteriosa dell'anno non ho avuto un attimo di riposo per scriverti.
Le letture più oscure direi che possiamo lasciarle lassù, negli scaffali alti della libreria, per lasciar spazio a quelle più magiche che sicuramente illumineranno le notti dicembrine, in attesa del santo Natale.
Come ti avevo raccontato tempo fa, sto coltivando questa nuova abitudine di non lasciar scorrere una giornata senza aver letto dieci pagine di un libro qualsiasi. Ed è grazie ad essa, che posso presentarti questo nuovo amico. L'ho finito proprio ieri sera. E te ne parlo oggi che ricorre l'anniversario della morte di Marcel Proust, avvenuta ormai più di cento anni fa.
Come mio solito sto partendo in modo confuso, occorre riordinare le idee.
Quello che ti voglio presentare oggi è un saggio dello scrittore friulano Enrico Terrinoni per Bompiani. Come suggerito dallo stesso titolo, l'autore ci racconta di un'amicizia speciale, occorsa tra due geni della letteratura mondiale: Ettore Schmitz-Svevo e James Joyce.
Un libro molto interessante se si vuole approfondire lo stile, il pensiero e soprattutto la vita di due scrittori che hanno così tanto influenzato il panorama mondiale della letteratura.

Non mancherò di dirti il mio pensiero "nudo e crudo": in alcuni momenti avrei voluto abbandonare la lettura. Ricordi "i diritti del lettore" di Pennac?
Ma non lo faccio, perché mi sembra sempre di essere ingiusta. E così continuo a leggere. I miei sforzi sono spesso ripagati. E quando arrivo all'ultima pagina mi sento come il conquistatore di un mondo nuovo! 

Cosa non mi è piaciuto:
-Nell'intento dell'autore c'era la volontà di trasferire la passione di Joyce e Svevo per i numeri e le coincidenze. Ma a me è sembrato un guazzabuglio di idee bislacche.
Se uno vuole, trova coincidenze numeriche in qualsiasi cosa. 
Francamente mi sembra un inganno.
-Purtroppo ci viene mostrato un aspetto privato dei due scrittori, che avrei preferito non conoscere.
Ti anticipo uno dei tredici capitoli: la gelosia.
Forse è colpa del periodo storico che vivo. Ma pensare a uomini così paranoici e gelosi delle proprie donne, mi fa venir voglia di scappare via lontano.
Oggettivamente è il male dei nostri tempi: conoscere ogni opinione e pensiero di un artista, ne rovina a volte l'arte. Non posso più nascondere la mia antipatia nei confronti di Picasso, per esempio. O di Gary Glitter. (In questo caso la parola "antipatia" è un eufemismo).
Mi viene da domandarmi: avremmo accettato il genio e l'opera di Michelangelo Merisi, conoscendone i vizi e gli atteggiamenti violenti? Non dimentichiamo che andava in giro armato. Possiamo giustificarlo dicendo che all'epoca usava così, ma non ne sono convinta. Dubbi che non saranno mai dissipati.

Cosa mi è piaciuto:
-Incontrare le opere di Svevo in quelle di Joyce. Scandagliare i personaggi dell'Ulisse e della Coscienza come mai mi era capitato di fare prima.
-Osservare Trieste sotto una luce diversa; camminare per le sue strade, ascoltare le sue voci.
-Sentire risvegliato il desiderio di leggere Joyce e riscoprire Svevo e Proust.

Già Proust. Gli scrittori francese, italiano e irlandese si incontrarono probabilmente una volta soltanto, durante una cena organizzata a Parigi da Joyce stesso, in onore del suo vecchio amico Svevo.
La conversazione, paradossalmente, all'atto pratico fu insignificante. Ma proprio per questo immortale.
Proust chiese a Joyce in due riprese, se conoscesse la principessa tali dei tali o la principessa X. In ambo le situazioni ebbe in risposta un laconico, anzi due: "No". Trovo che questo racconto sia significativo e per quanto privo di riscontri reali (-non eravamo certo lì ad ascoltarli!-) ci restituisce una ritratto chirurgico dei due scrittori, 
Entrambi, così come anche Svevo, portavano nella loro arte non realismo, ma realtà. Non finzione, ma oggettivazione.

Tanto diversi, eppure tanto simili.

Ho amato l'idea dei due amici non dichiarati, che passeggiano insieme per le strade di Trieste: uno alto e canuto, l'altro dinoccolato e giovane.
Entrambi alla continua ricerca di una narrazione, di una letteratura fine a sé stessa, senza scopi, senza mecenati; padrona soltanto di sé.
Non avrei mai pensato che Trieste e Dublino potessero intrecciarsi in questo modo.
Non avrei mai creduto che una vita potesse fluire e confluire nella vita di un'altra persona.

Una lettura interessante. In alcuni passaggi un po' lenta, probabilmente per colpa dei miei neuroni ancora più lenti. Ma che mi ha sorretto in queste notti piene di immagini e priva di sogni.
A volte penso di dover imparare a dormire.

Questo libro mi ha anche restituito la voglia di scrivere. Non per un pubblico. Ma per me stessa. Perché mi piace scrivere. E a questo punto, potrei scoprire una verità su me stessa sempre celata: mi piace scrivere, perché mi piace la mia interiorità. Il mio essere buio non mi spaventa più. Ho imparato ad accettarlo? L'allontanamento da PA mi rende mio malgrado, più serena?

Ai posteri l'ardua sentenza.

p.s. Ho dimenticato di scrivere un'altra, tra le cose che mi sono piaciute: la copertina, con la scelta di inserire l'immagine dei due scrittori come in uno specchio, l'uno riflesso nell'altro (-e la mia mente vola a Borges-), quando potevano avere all'incirca la stessa età.
Mentre nella realtà sappiamo che Svevo era molto più grande di Joyce, di circa vent'anni.

lunedì 4 novembre 2024

Alice e Peter

Vieni, fanciullo umano! alle acque e ai boschi
mano nella mano di una fata
perché il mondo contiene più lacrime
di quante tu possa sopportare


Ieri non riuscivo a dormire. Così ho spulciato tra i titoli presenti nella piattaforma Amazon per cercare qualche film da vedere. A me non piace mai niente. Ma questo titolo mi ha catturato e così mi sono vista questo interessante film del 2020: Alice e Peter.
In questa pellicola si immagina che Alice e Peter siano fratelli.
Così possiamo conoscere la loro famiglia e la loro vita prima degli incontri fantastici che ben conosciamo.
Probabilmente ho bisogno di una visita psichiatrica, ma a me Peter Pan mi dona solo sensazioni di ansia e turbamento. E la sorellina Alice non è da meno.
Due storie per bambini che a me fanno paura. Avrei voluto inserirle nella maratona di Halloween, ma ero consapevole che ci fosse una sorta di esagerazione da parte mia. Ma ieri notte guardavo il film e pensavo: "Mi fanno paura!".
Stupendi invece i due genitori interpretati da David Oyelowo e Angelina Jolie, che mi sono piaciuti davvero molto.
Un film diverso, per trascorrere un paio d'ore senza pensare.

Mi sono informata sulla poesia con cui inizia il film: infatti la scena iniziale si apre su una mamma che la legge un libro ai suoi bimbi.
Stolen child, questo il titolo, è una poesia scritta da W. B. Yeats (in The Wanderings of Oisin and Other Poems, 1889) in cui si descrive il rapimento di un bambino ad opera delle fate.
Perché le fate, non sono solo io a pensarlo, non sono sempre esseri benevoli.
Forse, come nel gioco di ruolo, dovremmo immaginarle "neutrali". Propense più a soddisfare i propri capricci che ad aiutare lo sfortunato viandante.
Yeats, studioso di mitologia irlandese e appassionato collezionista di racconti e leggende sulle fate, ci ha donato alcuni tra i testi più significativi sull'argomento.
Il rapimento fatato veniva spesso usato per giustificare morti precoci o per spiegare dei comportamenti anomali, come l’autismo o la depressione di giovani o bambini.
I rapiti che riuscivano a tornare a casa, erano diversi, cambiati; avevano perso l’anima! Ecco perché è bene non sostare nei prati dove l'erba è troppo alta, o tra gli anelli disegnati dai funghi e, la più importante delle regole: mai mangiare il cibo delle fate!

Dove l'altopiano roccioso
Di Sleuth Wood si immerge nel lago,
C'è un'isola frondosa
Dove aironi svolazzanti svegliano
I topi d'acqua assonnati;
Lì abbiamo nascosto i nostri tini fatati,
Pieni di bacche
E delle ciliegie rubate più rosse.
Vieni via, o bambino umano!
Verso le acque e la natura selvaggia
Con una fata, mano nella mano,
Perché il mondo è più pieno di pianto di quanto tu
possa comprendere.
Dove l'onda del chiaro di luna
abbaglia Le sabbie grigie e oscure di luce,
Lontano da Rosses più lontane
Noi camminiamo tutta la notte,
Tessendo danze antiche,
Mescolando mani e mescolando sguardi
Finché la luna non ha preso il volo;
Avanti e indietro saltiamo
E inseguiamo le bolle spumose,
Mentre il mondo è pieno di guai
Ed è ansioso nel suo sonno.
Vieni via, o bambino umano! Verso
le acque e la natura selvaggia
Con una fata, mano nella mano,
Perché il mondo è più pieno di pianto di quanto tu
possa comprendere.
Dove l'acqua vagabonda sgorga
dalle colline sopra Glen-Car,.
In pozze tra i giunchi
che a malapena potrebbero bagnare una stella,
cerchiamo trote dormienti
e sussurriamo nelle loro orecchie
diamo loro sogni inquieti;
sporgendoci dolcemente
dalle felci che lasciano cadere le loro lacrime
sui giovani ruscelli.
Vieni via, o bambino umano!
Verso le acque e la natura selvaggia
con una fata, mano nella mano,
perché il mondo è più pieno di pianto di quanto tu
possa comprendere.
Via con noi se ne va,
l'occhio solenne:
non sentirà più il muggito
dei vitelli sulla calda collina
o il bollitore sul fornello
cantare pace nel suo petto,
o vedere i topi marroni saltellare
intorno alla cassa di farina d'avena.
Perché lui viene, il bambino umano,
verso le acque e la natura selvaggia
con una fata, mano nella mano,
da un mondo più pieno di pianto di quanto lui
possa comprendere.

Una tristezza infinita tutta condensata in questi pochi versi.
Soprattutto se penso che il rapimento delle fate può essere inteso come la ragione della morte di un bambino.

sabato 2 novembre 2024

Commemorazione dei defunti


Questa giornata è scivolata lenta e silenziosa.
Ho pensato e pregato per tutte le persone a me care che non ci sono più.
E non ho potuto fare a meno di pensare a tutto quello che accade nel mondo.
Sembra un'apocalisse senza sosta.
Si muore per fenomeni atmosferici estremi (?), si muore sul lavoro, si muore perché un pazzo ha dato l'ordine di usare le armi. Si muore male e in tanti modi, ovunque.

Ci sono giorni in cui la Morte mi fa paura.
Provo ad esorcizzarla. Provo a immaginare un mondo pieno di luce, dopo questo terrestre.
Ma io ne sono degna? Penso di no. E allora cosa ci sarà dopo la vita? Un lungo buio e silenzio. Ne avrò coscienza? O semplicemente la mia anima, il mio corpo si disferanno in tanti atomi, che andranno a formare altri corpi, altri oggetti, altre anime?

Nel mio delirante pensiero, c'è solo una cosa che mi consola: la speranza di rivedere i volti dei nonni, soprattutto Nonna, almeno un ultimo istante.
Quando era in vita mi raccontava che da bambina, in questa notte, riceveva dei doni (un mandarino, dei biscotti). La sua era una famiglia poverissima. Per quei bambini era una festa ricevere anche una carezza.
Inoltre ricordo come un sogno, che mi raccontava che potevamo vedere il passaggio dei defunti, se avessimo messo un catino con dell'acqua, alla luce delle stelle o della luna.
Purtroppo con il passare del tempo certi ricordi si perdono, e con essi anche le tradizioni della propria terra.
L'unica cosa che mi rimane è ricordare i loro visi, la loro voce. Ho conosciuto persone meravigliose quando ero piccolina, e sono sicura che ora siano nella luce.

Un ultimo pensiero al popolo spagnolo e di Valencia. Ma perché i paesi europei non mandano aiuti? Non possono farcela da soli.