Sto qui e non mi sento mai a casa, mai al sicuro.
Un libro segue un altro, la paura rimane la stessa.
C'è la crepa e ci sono slanci sinceri. È come se per anni e anni fossi riuscito solo a mettere ogni tanto il muso fuori dal tremore in cui sono recluso.
arminio17@gmail.com
Alla fine del libro, dopo i ringraziamenti, c'è l'indirizzo email di Franco Arminio. Il poeta delle piccole cose, il poeta dei paesi belli e profumati; il poeta che racconta i sentimenti di chi ha incontrato, di una strada, di chi non c'è più. Franco Arminio il poeta che si firma con lettere minuscole e il cui nome scriverei soltanto con tutte le lettere maiuscole.
A volte ho avuto la tentazione di inviargli una e-mail. Ma non ho mai nemmeno iniziato. Penso che quello che potrei raccontare sarebbe solo fastidioso e stupido. Sai quanti complimenti ben scritti avrà già avuto? Quante storie avrà raccolto? La mia sarebbe solo spazzatura, spam inutile. E poi come iniziare?
"Caro Franco" - troppo confidenziale.
"Caro sig. Arminio" - troppo formale!
Un vero disastro. Lasciamo perdere. Voltiamo pagina, parliamo di poesia. Questa raccolta è come tutte le altre, bellissima. Forse è quella che sento più vicina. Pubblicata la prima volta nel 2020, quindi nel cuore della pandemia Covid-19 cerca di offrire un sostegno a questo dilagante autismo sentimentale nel quale ci stiamo rifugiando tutti. Stiamo sparendo come i piccoli paesi di montagna. Ci stiamo nascondendo dietro tanti schermi, che come tante pericolose maschere, hanno preso il posto dei nostri connotati, delle nostre espressioni.
Distanziamento - assembramento - mascherina - amuchina - autocertificazione: erano le parole che mettevamo in borsa, prima di uscire, insieme con le chiavi e i documenti.
Quanto male ci ha fatto quel maledetto Virus.
La portata di quel male non ci è ancora chiara; non riusciamo a comprenderne i confini.
Abbiamo pensato fosse finito tutto con la scomparsa delle mascherine.
Ma non è così. Abbiamo visto tornare le labbra sorridere, ma non gli occhi.
E le cicatrici dell'anima non le contempla nessuno, perché non danno fastidio.
Il nero dell'Italia di oggi non è il fascismo, ma la depressione. (- direi che non è "solo" il fascismo -). Ci sono milioni di italiani in pigiama. C'è gente che finisce la sua giornata prima di cominciarla. Esistono i lavori usuranti, ma esistono anche i riposi usuranti. [...]
La Rete ha creato un mondo di solitari che aspettano ogni giorno una parola che non arriva e se arriva non è mai bastevole.
Di questa società mi infastidiscono le parole usate in modo ripetitivo. Quelle di tendenza, quelle di moda. Non mi piacciono mai.
Parlano di performance, ma non vedo le competizioni.
Parlano di narrazione, ma non capisco da dove venga la voce narrante.
Parlano di resilienza, ma non vedo il materiale.
Al più potrei offrire tentativi, impegno, tenacia; non sapendo parlare non potrei raccontare, ma potrei leggere delle storie, se belle; e al massimo mi potrei definire resistente.
Resisto a tante pressioni, a tante sollecitazioni.
Ma oltre un certo limite vado in pezzi. Tanti pezzi. Non troppi per mia fortuna. E così, col tempo, mi rimetto in piedi.
Le cicatrici lasciate dai punti di sutura sono evidenti. E mi va bene così. Perché le cicatrici mi aiutano a ricordare, a riflettere, a non dimenticare.
Non sempre riconosco quello che mi accade intorno. E sono sempre sul punto di rifare gli stessi errori. Ma la cicatrice mi aiuta a modificare i miei comportamenti.
Col tempo sono diventata più brava. Riconosco l'arrivo di un temporale dai primi segnali e so come correre ai ripari.
Spesso prevedo arcobaleni.
Sono una vera e propria cacciatrice di rapidi archi di luce colorata.
Ma come dice Arminio, faccio ancora parte del popolo degli inagibili.
Sono come: una casa colpita dal terremoto. Non è caduta, ma è pericoloso starci dentro.
Devo lavorare ancora molto su questo. Per il momento mi curo. Con la lettura, con la poesia. Magari per il corpo consultiamo un medico, ma per l'anima apriamo un libro.
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