domenica 28 luglio 2024

Il nome della rosa - Umberto Eco

Il bene di un libro sta nell'essere letto.
Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose.
Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti,
e quindi è muto.


In una calda giornata di Luglio ho finalmente comprato la mia copia. La libraia mi ha detto che questa è stata la lettura consigliata a scuola da molti insegnanti. Non mi sono fatta intimorire. A me di sembrare infantile o in ritardo, non mi importa.
Ho stretto al petto la mia copia, sono tornata a casa e orgogliosissima l'ho divorata in meno di dieci giorni. Umberto Eco era incredulo del successo del suo romanzo. Era probabilmente il libro che odiava di più, che non avrebbe voluto scrivere, che anzi aveva scritto per scherzo. Che ha tentato di semplificare nelle edizioni successive.
Chissà, probabilmente il film mi ha aiutato. Non lo nego. E anche se nessuno condivide la mia scelta, io qui la rivendico e a chiare lettere lo affermo: questo libro mi è piaciuto tantissimo!
E come è stato per Via Col Vento, l'ho apprezzato anche più del film. Mi è sembrato meno minaccioso, meno cupo.
E temo che la chiave sia tutta in quel "Baskerville" scritto e non ascoltato. Come se la parola scritta riuscisse a svegliare la mia coscienza più abilmente delle immagini trasmesse in televisione.
Per questa ragione Guglielmo e Adso mi sono apparsi come Sherlock e Watson con il saio.
E ho seguito la loro avventura in un modo più spensierato, giorno dopo giorno.
Solo il finale mi ha turbato.

Accattivarsi la mia attenzione è stato molto semplice per l'autore. Gli è bastato convincermi che si trattava di un libro che parlava di altri libri.
Per farlo ha usato, nel prologo, quella tecnica tanto cara ad altri autori da Manzoni a de Cervantes, da Scott a Dumas, quella cioè del manoscritto fittizio.
Infatti anche il nostro amatissimo Eco ci confida di aver letto durante un soggiorno all'estero il manoscritto di un monaco benedettino, che raccontava di una misteriosa vicenda svoltasi in età medievale, in un'abbazia non ben definita, posta sulle Alpi piemontesi.
Soggiogato dalla lettura Umberto stesso inizia a tradurlo su quaderni di appunti fino a quando gli è possibile, poco prima di interrompere i rapporti con la persona che gli aveva permesso di aver il manoscritto tra le mani.
Non senza difficoltà, riesce a ricostruirne la biografia e a recuperare le parti mancanti del testo e a consegnarci la storia narrata dallo stesso protagonista: Adso da Melk.

Sette lunghi giorni trascorreremo in questa santa abbazia.
Incontrando personaggi acuti e indimenticabili; citarli tutti sarebbe impossibile.
Perché nel libro perfino il vecchio Jorge e l'inquietante Malachia riescono a conquistare uno spazio nel mio cuore.
E allora chiederò aiuto all'arte cinematografica, per ricordare tra tutti, solo un personaggio: Salvatore, il cui volto sarà per sempre quello dell'attore Ron Perlman.
Indimenticabile la caratterizzazione di un personaggio che deve provocare pietà e un rigurgito di coscienza in tutti noi: Penitenziagite! E così sia...

Al film  riconosco il merito di aver salvato alcuni libri dell'Abbazia, la povera paesana condannata per stregoneria e di aver trasferito una sfumatura romantica al verso "il nome della rosa".

Ma, ora che sono molto, molto vecchio, mi rendo conto che di tutti i volti che dal passato mi tornano alla mente, più chiaro di tutti vedo quello della fanciulla che ha visitato tante volte i miei sogni di adulto e di vegliardo. Eppure, dell'unico amore terreno della mia vita non avevo saputo, nè seppi mai, il nome. (dal Film, 1980).

Le intenzioni di Umberto Eco non saranno mai chiarite.

A lui piaceva chiamare il suo libro così e alla fine per questo scelse Il nome della rosa.
Bisogna però ricordare che scelta del titolo richiama il verso di Bernardo Cluniacense:

Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus
La rosa primigenia [ormai] esiste [soltanto] in quanto nome: noi possediamo nudi nomi

Come sostenuto dai nominalisti, l'universale non possiede realtà ontologica ma si riduce ad un mero nome, ad un fatto linguistico. (fonte Wikipedia)

E se fingiamo per un momento di tornare tra i banchi di scuola, allora possiamo dire che il titolo estrapolato dal verso ci ricorda che tutte le cose sono effimere, e alla fine di esse non resta che un puro nome, un semplice segno, un vago ricordo.
Così sarà per la biblioteca e i suoi libri distrutti dal fuoco, per il mondo conosciuto dal giovane Adso, per noi che siamo qui a ricordare quei tempi e quelle avventure.

Era una bella mattina di fine novembre...
inizia così il giallo storico più bello del mondo; quasi come avrebbe fatto Snoopy con 
Era una notte buia e tempestosa...

Ora dimmi, come si fa a non amare Umberto Eco?

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