"Raccontare un sogno significa immaginarlo
oltre che raccontarlo.
Trasformare la sensazione in racconto."
Ci siamo! Eccoci arrivati al quarantesimo giorno di quarantena. Indignazione e irascibilità sono alle stelle. Sono stanca di sentire parole offensive e superficiali rivolte alla mia terra. Di giustificazione e lode per altri territori. Il mio non sarà mai un Paese. Perché in una famiglia non si può pensare di insultare a vita il figlio minore e magari più debole.
Come ogni volta, l'unico che riesce a calmarmi è l'amico Libro. Non so come ci riesca ma nel suo silenzio mi parla, mi consola, mi culla. Questa volta è stato Pennac a lenire le mie ferite.
Un libro che si legge in un sorso. Come un bicchiere d'acqua fresca dopo una passeggiata in riva al mare.
Il tema è il sogno, il saper sognare e ricordare i sogni fatti. Non importa se a occhi chiusi o aperti. Irrilevante.
Chi ispira queste pagine è il costruttore di sogni per antonomasia: Federico Fellini. Mi è piaciuto vederlo spuntare tra le pagine del professor Pennac, scrittore che apprezzo molto e che sempre, sempre, ridesta la mia volontà sopita di lettrice.
C'è una domanda che spunta quasi subito, già dalle prime pagine:
"Sappiamo davvero quando comincia un sogno?".
Non sono una grande sognatrice; al risveglio non ricordo quasi mai ciò che ho sognato. Ma c'è stato un periodo in cui avevo la curiosa abitudine di trascrivere i sogni, assurdi, che caratterizzavano le mie nottate.
Ultimamente purtroppo, sogno solo ad occhi aperti. Con risultati devastanti per la mia psiche.
"Ed è allora, nel mezzo alla vita, che esistono grandi schermi per il sogno."
(Pessoa, Il libro dell'inquietudine)
Il modo di scrivere di Pennac mi piace tanto. Solitamente è in prima persona. Così mi chiedo sempre se sto leggendo un racconto inventato o sto ascoltando la storia raccontata da un amico.
Questo modo di fare accogliente, familiare, lo rende uno dei miei autori preferiti.
E lo so, lo sento, lo riconosco senza timori.
"Non mi sono mai abituato all'elettricità. Per me rimase sempre un po' un miracolo."
Vorrei liberarmi di questa sensazione che permea le mie giornate.
So che sto procedendo bene, da un lato. Mentre dall'altro, sento che mi sto consumando velocemente.
Che brutto sentire la mancanza di qualcuno che non sa niente di te.
Di ciò che stai provando.
Devono sentirsi così i fantasmi del mondo.
Spiriti inquieti. Tormentati.
A volte mi sveglio per ritrovarmi in un incubo, la mia vita.
Sono triste...ancora.
E fu sera e fu mattina...XL giorno.
oltre che raccontarlo.
Trasformare la sensazione in racconto."
Ci siamo! Eccoci arrivati al quarantesimo giorno di quarantena. Indignazione e irascibilità sono alle stelle. Sono stanca di sentire parole offensive e superficiali rivolte alla mia terra. Di giustificazione e lode per altri territori. Il mio non sarà mai un Paese. Perché in una famiglia non si può pensare di insultare a vita il figlio minore e magari più debole.
Come ogni volta, l'unico che riesce a calmarmi è l'amico Libro. Non so come ci riesca ma nel suo silenzio mi parla, mi consola, mi culla. Questa volta è stato Pennac a lenire le mie ferite.
Un libro che si legge in un sorso. Come un bicchiere d'acqua fresca dopo una passeggiata in riva al mare.
Il tema è il sogno, il saper sognare e ricordare i sogni fatti. Non importa se a occhi chiusi o aperti. Irrilevante.
Chi ispira queste pagine è il costruttore di sogni per antonomasia: Federico Fellini. Mi è piaciuto vederlo spuntare tra le pagine del professor Pennac, scrittore che apprezzo molto e che sempre, sempre, ridesta la mia volontà sopita di lettrice.
C'è una domanda che spunta quasi subito, già dalle prime pagine:
"Sappiamo davvero quando comincia un sogno?".
Non sono una grande sognatrice; al risveglio non ricordo quasi mai ciò che ho sognato. Ma c'è stato un periodo in cui avevo la curiosa abitudine di trascrivere i sogni, assurdi, che caratterizzavano le mie nottate.
Ultimamente purtroppo, sogno solo ad occhi aperti. Con risultati devastanti per la mia psiche.
"Ed è allora, nel mezzo alla vita, che esistono grandi schermi per il sogno."
(Pessoa, Il libro dell'inquietudine)
Il modo di scrivere di Pennac mi piace tanto. Solitamente è in prima persona. Così mi chiedo sempre se sto leggendo un racconto inventato o sto ascoltando la storia raccontata da un amico.
Questo modo di fare accogliente, familiare, lo rende uno dei miei autori preferiti.
E lo so, lo sento, lo riconosco senza timori.
"Non mi sono mai abituato all'elettricità. Per me rimase sempre un po' un miracolo."
Vorrei liberarmi di questa sensazione che permea le mie giornate.
So che sto procedendo bene, da un lato. Mentre dall'altro, sento che mi sto consumando velocemente.
Che brutto sentire la mancanza di qualcuno che non sa niente di te.
Di ciò che stai provando.
Devono sentirsi così i fantasmi del mondo.
Spiriti inquieti. Tormentati.
A volte mi sveglio per ritrovarmi in un incubo, la mia vita.
Sono triste...ancora.
E fu sera e fu mattina...XL giorno.
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