venerdì 31 ottobre 2025

Halloween

 Le zucche sono ancora lì, mezze spente. Le luci pendono storte, qualche briciola sui piatti, i bicchieri abbandonati sui tavoli. La festa è finita da poco, e la casa ha quel respiro sospeso che arriva solo quando tutti hanno smesso di ridere.

Gli altri sono sul divano. Si parlano piano, si appoggiano uno all’altro, si godono la quiete. E io… io non sono lì con loro. Sto un passo indietro. Li guardo, come si guarda una cosa fragile e preziosa che non ti appartiene davvero.
E penso: era questo il mio sogno. Vederli insieme. Sentire la casa piena, senza freddo, senza vuoti.

Solo che io non sono una spettatrice qualsiasi. Sono quella che ha preparato tutto.
Quella che ha mandato messaggi, convinto gli adulti, fatto spazio, scelto le candele, pensato ai bambini perché avessero qualcosa in cui credere.
Ho cucito i pezzi, senza farmi notare. E adesso che li vedo lì — uniti, sereni — capisco perché non sono partita.
Dovevo restare per portarli fino a questo punto.

Eppure, lo sento nella pelle: non appartengo pienamente alla scena. Sono quella che ha acceso la luce, ma ora resta nell’angolo. Non c’è amarezza, solo un dolore sottile, come quando sorridi e brucia un po’.

Le maschere sono state tolte, il trucco è sbavato, e nessuno recita. È tutto vero. Ed è proprio ora che il pensiero ritorna, più chiaro degli altri:
io sono rimasta qui per permettere a questo di accadere.
E forse per poterlo vedere almeno una volta.

Resto in silenzio.
Non chiedo di entrare.
Fa un po’ male restare nell’ombra mentre gli altri si appoggiano l’uno all’altro. Fa male sapere che nessuno lo vede, che nessuno sa quanto ci sia voluto per mettere insieme ogni pezzo. Ma il dolore è quieto, non chiede nulla.

E proprio quando penso di essere fuori da tutto, succede qualcosa di piccolo. Uno sguardo che mi cerca. Una mano che fa spazio accanto a sé. Un sorriso, senza parole, che dice: abbiamo visto che ci sei.
Non cambia il passato, non mi mette al centro. Basta a scaldare il freddo.

Resto dove sono, ma il peso è più leggero.
Perché forse non serve appartenere del tutto.
Forse basta sapere che, anche da lontano, qualcuno ha lasciato il posto accanto a sé libero. Per me.
E non poteva che essere il mio Piccolo Principe.