martedì 4 luglio 2023

Memorie da una casa di Morti - Fedor Dostoevskij

 Può darsi che mi sbagli,
ma ho l'impressione che un individuo si possa conoscere dal modo in cui ride:
se, incontrando per la prima volta un perfetto sconosciuto,
vi piace la sua risata, state sicuri che si tratta di una brava persona.


Dopo averlo anticipato tante volte, e dopo aver buttato fuori un po' di amarezza, sono finalmente qui a raccontare di questo nuovo e difficile amico.
Sto parlando del romanzo semi-autobiografico che Dostoevskij scrisse a proposito della sua esperienza in carcere. Tra il 1850 e il 1854 Dostoevskij, rinchiuso nella fortezza di Omsk, Siberia, scontò una pena di quattro, per ragioni politiche. Un abominio della cosiddetta società civile. Da quella esperienza lui ne ha tratto forza e motivo di riflessione sull'animo umano.

Caro Blog,
non è stato facile finire questo libro. A differenza dei romanzi a cui mi ha abituato il meraviglioso scrittore russo, in questo non c'è una vera e propria trama da tessere. Ma è più una carrellata di volti e nomi che hanno caratterizzato l'esperienza nel carcere, del protagonista che narra la sua storia. Uno scavare nei loro cuori. Uno scendere nelle profondità dell'animo dei reclusi.
Dirà Dostoevskij: "Di sicuro per me non è stato tempo perduto. Se anche non ho conosciuto la Russia, certo il popolo russo l'ho conosciuto bene, come pochi credo lo conoscano."
Tuttavia sono riuscita a finirlo. Lentamente.
Perché ci sono dei momenti di commozione che brillano di luce propria, che ti tengono legato al libro. Mi riferisco a quando descrive la preparazione dello spettacolo teatrale; dell'incontro con alcuni animali; la messa di Pasqua.
Molti dei protagonisti delle sue opere future devono il proprio spessore psicologico, agli uomini incontrati nella colonia penale.
In un certo senso è come avere tra le mani il libretto di istruzione dei futuri personaggi di Dostoevskij.

Il romanzo è scritto sotto forma di diario.
Diario che l'autore, nella prefazione, attribuisce a un recluso immaginario che avrebbe ucciso la moglie in un impeto di rabbia. 
Quello che colpisce è che il nostro protagonista non diventerà mai "uno di loro", uno dei carcerati.
Non per snobismo. Ma perché non tutti gli uomini sono corrotti nell'animo. Le loro azioni possono esserlo, ma il loro cuore può sopravvivere.
Ed è questo uno degli aspetti che mi ha colpito di questo libro.
Chi scrive il diario non è giudicante. Osserva. Cerca di capire.
Credo sia un momento prezioso, che dovrebbe ispirare anche il nostro agire, il nostro metterci accanto all'altro.

Tra le pareti buie e scrostate della colonia brilla sempre una luce.
Quella dell'amore cristiano, l'unica che può salvare l'uomo e sollevarlo anche nei momenti più bui.
Anche uomini di quella risma sanno cosa sia un gesto di pietà, di solidarietà.

Un libro particolare che mi ha avvicinato ancora di più a comprendere questo grande e inarrivabile scrittore.
L'unico che cerca di andare oltre il mero significato dei fatti, per comprendere l'uomo che è oltre l'abito, il ruolo sociale.
L'unico interessato a scavare in profondità, a guardare in ogni anfratto alla ricerca dell'umano nell'uomo. Anche nel più spietato assassino.
Uno scrittore speleologo, minatore, avventuriero, cercatore di tesori: l'animo umano.

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