giovedì 14 dicembre 2023

Dolore e Ragione - Iosif Brodskij

 Ormai il verbo è soltanto suono:
denota una reazione in cui la componente animale
prevale nettamente su quella razionale.


Caro Blog,
tempo fa e ora che scrivo mi sembra trascorso un secolo, ma in realtà sono passate solo alcune settimane, ho finito la lettura di questo libro di cui, lo confesso immediatamente, ho mancato il suo cuore.
Posso raccontarti la sua struttura, la sua esteriorità. Descriverti il colore dei suoi capelli. Ma come nelle descrizioni importanti di un amico, non posso raccontarti la sua anima, il suono della sua risata, né le pieghe intorno agli occhi mentre sorride.
E questo perché non lo conosco abbastanza; me ne dolgo, ma è un dato di fatto: non lo conosco affatto.
Quindi il mio viaggio inizia con la consapevolezza che sarà un racconto mutilato.
Potrei consigliarti una ricerca su altri blog; ma credo che non troveresti la chiave giusta per accedere al tesoro nascosto in questo libro.
Il consiglio vero è, invece, di recarti in libreria, acquistarne una copia e cercarti un posticino tranquillo per fare la sua conoscenza -mi raccomando!- senza essere disturbati. Lentamente si schiuderà davanti a te una caverna di tesori degna di Alì Babà!

Dal canto mio, visto che ci sei, ti darò qualche approssimata informazione.
Innanzitutto il suo autore, Iosif Brodskij è una di quelle persone che non si incontra tutti i giorni. Per amore di definizione possiamo dire che è stato ufficialmente poeta, saggista e drammaturgo.
Russo per nascita, naturalizzato statunitense è considerato uno dei maggiori poeti russi del XX secolo.
Vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1987 e fu nominato poeta laureato qualche anno dopo.
Studente di medicina per qualche anno, fu poi tornitore, fuochista, guardiano di un faro e partecipò anche a spedizioni geologiche in Sacha-Jacuzia ed in Siberia.
A me è venuto il fiatone scrivendo!
Nel mentre è impegnato a vivere mille vite, legge di tutto e scrive, scrive tanto.
Presto verrà raggiunto dalla censura sovietica che lentamente diventerà carcere ed esilio dalla madre patria.
Soffrirà di cuore e almeno una volta avrà tentato il suicidio. Quando morirà nel gennaio del 1996 a soli cinquantasei anni, viene da pensare che avrà avvertito nel suo corpo e nell'anima una stanchezza da Matusalemme!!!

Il libro di cui parliamo oggi è l'ultimo da lui scritto e fu pubblicato nel 1995, poche settimane prima della sua scomparsa. Da molti è quindi considerato una sorta di opera testamentaria.
È divisa in sei capitoli che raccolgono riflessioni e dialoghi dell'autore con chiunque sia disposto ad ascoltarlo.
Le prima parole scritte sono un omaggio al suo Paese, alla sua Russia, anche se in realtà non la nomina mai. Sembra che siano gli anni del dopoguerra. E in modo clandestino, entrano nel territorio comunista oggetti e libri della cultura occidentale, americana per lo più.
In questa atmosfera, anche una scatoletta in latta può diventare un oggetto di culto per un bambino.
Scrive Roberto Calasso: "Una prosa dove a ogni passo, a ogni frase, il pensiero può trasportare il lettore molto lontano, come su un tappeto volante."
Ed è proprio così.
Siamo con il nostro libro in mano a immaginare le scene di vecchi film in bianco e nero, a ricostruire i dialoghi di quei personaggi dagli sguardi languidi e profondi, quando ci ritroviamo catapultati su un palcoscenico, disturbato dalla nostra presenza, ché in situazioni normali è vuoto, e che se avesse coscienza giudicherebbe una scocciatura la nostra presenza.
E da qui prende il via un'immodesta proposta.
Brodskij novello poeta laureato, parla della sua materia preferita: la poesia.
Siamo nel 1991, in occasione della sua designazione a poeta laureato dalla Library of Congresso di Washington.
Vale la pena di leggerlo tutto.

La poesia dovrebbe essere disponibile in una quantità di gran lunga superiore a quella attuale. Dovrebbe essere onnipresente come la natura che ci circonda e da cui la poesia deriva molte delle sue similitudini...

Suggerisce di produrre libri di poesia come fossero auto, che però ci trasportano in luoghi più distanti; immagina libri di poesia in farmacia, per abbassare la spesa degli psicofarmaci.

Ci spiega che la forma lirica è la forma di linguaggio per antonomasia. Se rinunciamo ad essa, allora rinunciamo all'evoluzione.
Ci condanniamo a gradi inferiori di articolazione, al grado del politicante, del commerciante o del ciarlatano.
Essa è l'unica assicurazione contro la volgarità del cuore umano.

Leggere poesia è una forma assai economica di accelerazione mentale. Entro uno spazio ridottissimo una buona poesia abbraccia un immenso territorio mentale, e spesso, verso l’epilogo, offre al lettore un’epifania o una rivelazione.

In chiusura ci regala una perla meravigliosa: I libri trovano i loro lettori. Ecco, nel mio caso effettivamente mi ha trovato che girovagavo in libreria alla ricerca di un'edizione non troppo costosa degli Adelphi. E quel dolore in copertina, mi ha chiamato più della ragione.

Scendiamo dal palcoscenico. Troviamo Iosif seduto alla scrivania, mentre scrive tutto assorto in sé stesso, una lettera. Sbirciamo oltre la sua spalla e leggiamo: Mio caro Orazio...
Siamo nuovamente in viaggio: lontano nello spazio e nel tempo. 
Ma non è ancora finita.
Abbiamo ancora tempo per meravigliarci.
Gli ultimi tre capitoli, così da me impropriamente chiamati, ci portano a conoscere tre maestri del panorama poetico-letterario: Robert Frost, Thomas Hardy e Rainer Maria Rilke.

Poeta del mondo rurale, Frost, poeta premodernista Hardy, con entrambi Brodskij ci dimostra l'importanza del linguaggio poetico.
Il saggio dedicato a Frost dà il nome al nostro libro, e analizzando la sua poesia ci mostra come dolore e ragione possano entrambi essere cibo per il linguaggio e quindi linfa vitale della poesia.
Con Hardy la musica è diversa. Chiamarlo poeta può essere deviante. Lui non è il fragile, tubercolotico che scrive nel freddo di una soffitta. Ma un uomo ben lucido, sempre più scontroso che riesce a dirvi qualcosa della vostra vita a prescindere dal luogo e dal tempo in cui visse la sua.

E alla fine di questo lungo viaggio arriviamo a Novant'anni dopo, quando nel 1904 Rainer Maria Rilke scrive Orfeo. Euridice. Ermes 
proprio così, senza il punto fermo dopo il nome del dio.
Immaginando ascoltare Brodskij che svela a piccoli passi questa poesia stupenda, mi sono venute le lacrime agli occhi.
Lo fa senza tecnicismi, senza usare paroloni. Lo fa rendendola accessibile a chiunque!
Brodskij stesso mi sembra diverso in queste ultime pagine.
Probabilmente dipende dal fatto che ora abbiamo davanti a noi il mito con tutto il peso del suo essere eterno, e perché sappiamo bene che qualsiasi sfida agli dèi conduce ad un’inevitabile sconfitta. Eppure siamo incollati a queste pagine, ad ascoltare ancora una volta la storia di Orfeo, del suo amore e della sua sconfitta.

Un libro che parla di libri; a me è piaciuto molto.


p.s. Ho fatto una piccola ricerca. Se te lo stessi chiedendo: dicesi poeta laureato il poeta ufficialmente premiato da un sovrano o da un governo con l'alloro poetico e pertanto investito del compito di comporre opere per eventi ufficiali o celebrative di personaggi legati al governo stesso.

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