sabato 12 ottobre 2024

Paesi tuoi - Cesare Pavese

Per non sbagliare stavo zitto: avevo già parlato troppo.


L'avevo comprato per ricordare la fine di questo grande scrittore, parlando del suo primo romanzo, ma non ne ho avuto la forza.
Recupero oggi.
Oggi che sento più che mai vivo il mio legame con la terra, vivo e forte il desiderio di non lasciarla mai più.

Ti racconto questo romanzo duro, aspro come la vita di alcune persone è stata in passato, e forse lo è ancora oggi nel Bel Paese.
Cesare Pavese aveva il dono di narrare queste storie atroci, in modo chirurgico ma coinvolgente.
Nessuna parola è sprecata. E anche il non-detto è chiaro come sotto la luce del sole d'estate.
Quando fu pubblicato era il 1941. Siamo ancora in Guerra. Pavese ha conosciuto le condizioni della reclusione e del confino. E quelle sensazioni, quei sentimenti emergono dall'esperienza del meccanico torinese Berto. Uno dei tanti disgraziati che popola le strade italiane degli anni Quaranta, che vive per un po' di amore, una partita al biliardo e due sigarette.
La sua vita cambierà il giorno in cui inizierà a lavorare nella cascina del torvo Vinverra, padre di Talino, suo compagno di cella.
Conoscerà la giovane Gisella e il meschino mondo che la sommergerà, come in una tragedia greca.

Un libro che per alcuni aspetti non fu apprezzato da parte della critica; per esempio, fu criticato per aver trattato brutalmente temi come l'incesto e la morte, per aver descritto un mondo povero senza filtri, senza l'incanto della scrittura.
Per altri scrittori, invece, sarà un testo di riferimento; un giovane Italo Calvino inserirà Paesi tuoi in un triangolo di scrittura, insieme con i Malavoglia e Conversazione in Sicilia.

Cesare Pavese lascia la poesia per cercare nella prosa, un modo di raccontare il pensiero, l'anima. 
In circa 108 pagine si trovano riferimenti che vanno da Steinbeck, al mito greco.
Ed è anche per questo che voglio bene a Pavese.

Sempre in questo volume, edizione Mondadori, c'è un articolo in cui Pavese fa una specie di autorecensione, sotto forma di dialogo con un amico. O per essere più precisi, ci regala una chiave per leggere il suo romanzo in modo diverso rispetto alla prima concezione.

Masino si incaponisce; non capisce perché Pavese abbia inserito una storia d'amore in questo racconto.
E in modo apparentemente ironico, Pavese risponde:
Devi sapere che una storia è sempre fatta di simpatia verso la gente. Chi la racconta -che di solito per sua disgrazia o per le arie e strafottenza che si dà è un tipo in rotta con tutti- non riesce a scriverla se, almeno in quelle ore che lavora, qualcosa non gli tocca il cuore o lo scalda e gli fa voler bene alla gente, ai personaggi, alla giornata che passa.

Quanto di sé stesso ci aveva donato in questo articolo e nelle pagine dei suoi scritti.
Non lo abbiamo capito.
E lui deve essersi sentito solo, o come se nulla avesse più senso.
A volte penso ad una citazione di Kafka (che da tanto non leggo): la vita è come una festa in maschera a cui ho partecipato con la mia faccia, e quindi diventa difficile fingere, sopportare tutto, quando ti rendi conto che sei il solo a vedere che è tutta una recitazione, una finzione, non sei libero. Sei uno schiavo, il trastullo di qualcuno che non partecipa lealmente allo stesso gioco.

Oggi ho rischiato di diventare grande, ma per fortuna non è successo.

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