sabato 2 maggio 2020

Cinquantaquattresimo giorno - Sabato qualsiasi

"Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare,
che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare,
che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere."

Thomas More

Oggi ho parlato per un po' con V.
Stava meglio, ma non come suo solito. Era decisamente giù di tono. L'ho detto in passato, non mi risparmierò: V. è una brava ragazza, meriterebbe di essere felice, di vedere realizzarsi i suoi sogni. Invece è consumata da paure e incertezze. Che sono le stesse che rodono anche la mia serenità.
Ho trascritto, (non è vero ho usato spudoratamente il "copia e incolla"), le parole di Tommaso Moro: e se fossimo incapaci di distinguere le cose che sono lì per noi?
A volte penso che se avessi più coraggio, più stima di me stessa, potrei migliorare la mia vita; anche il passato avrebbe avuto un rumore diverso.
Altre volte, invece, mi dico che sono buona a nulla e che l'unica cosa che potrei cambiare è lo smalto delle unghie (in realtà nemmeno quello, perché in questi giorni non sopporto nemmeno lo smalto!).
Ma il passato non si può cambiare. E quando ci hanno provato è stato sempre molto rischioso. Grande Giove! (cit.)
Lasciamo le cose come stanno. La frase di T. Moro rimane perché è bella; non ci aiuterà a trovare una soluzione per affrontare il futuro, ma ci aiuterà a viverlo in modo più leggero.

Eliminando le elucubrazioni, rimane la situazione contingente.
E la situazione contingente suggerisce che la mia paura non è senza fondamento.
Sono realmente un'incapace senza talento. 
Vorrei poter sostenere V. 
Dopo la nostra telefonata mi ha mandato un messaggino.
Forse non sono così male quando voglio bene a qualcuno con un carattere d'oro come V.
In altre parole, facile voler bene e fare del bene quando si parla di V.
No, non sono io, è lei una cara ragazza! Spero si senta meglio.
Se sapesse che parlo di lei arrossirebbe. Non glielo dirò.

Sto finendo di leggere il mio romanzo della settimana.
Quindi domani sarò autorizzata a parlare del mio argomento preferito senza sentirmi in colpa e senza scrivere parole che sembrano nave sanza nocchiere in gran tempesta.

"È più facile resistere all'inizio che alla fine."

Scriveva Leonardo da Vinci, di cui ricade oggi l'anniversario della morte. Aveva ragione, naturalmente.
Negli ultimi giorni ho avuto molte difficoltà a mantenere un atteggiamento civile.
Mi alzo dal letto solo per vergogna. Solo perché non voglio sentire i miei sensi di colpa urlare; mentre tutti gli altri sensi ci rimarrebbero volentieri nel letto, tipo per sempre.
Suppongo che uno come Leonardo non avrebbe sofferto questo periodo di isolamento. Chissà quanti studi coi mezzi a disposizione di oggi, avrebbe realizzato. Quali e quante meraviglie avrebbe potuto donare ancora all'umanità.
Magari gli sarebbero mancate anche le uscite con gli amici, il sabato sera al ristorante, la passeggiata sul lungolago.
Probabilmente uno scenario non esclude l'altro. Non era certo un solitario.

E lo so di essere senza controllo, ma devo concludere il mio delirio con Alessandro Scarlatti.
Nato a Palermo nel 1660, fu compositore di musica barocca, fondatore della scuola musicale napoletana; è considerato il massimo rappresentante italiano del periodo.
Da bambina vissi pochissimi anni in una strada che portava il suo nome.

La nostra vita non è mai del tutto nostra.
Non ci appartiene, ne siamo solo custodi.

Come si misura una vita?
A volte ci penso.
Sono il risultato di una serie incalcolabile di combinazioni che hanno dato il mio, e solo mio, DNA.
All'interno, se potessi osservarlo con un favoloso microscopio, potrei riconoscere un pezzetto con il nome "Scarlatti", uno coi colori del paesaggio nella foto, un altro sicuramente avrebbe il profumo del mare.
Un pezzetto sarebbe fatto di "mossa Kensas City" (merito di Persona che ormai fa parte di me),
di "base maggiore + base minore per altezza il prodotto diviso due",
di blu oltremare,
di Polifemo, di Gobbolino, di PiccoloPrincipe,
di papà che mi racconta storie per farmi addormentare,
del prof. che mi rimprovera perché difendo chi mi attacca,
di Don che mi chiama giovinetta,
di never ending story,
di stelline fosforescenti,
di uccellini salvati,
di citazioni trascritte.

Siamo l'eco di una conchiglia che respira sulla spiaggia, l'aria che smuove il battito di ali di una farfalla, la risacca del mare, il fumo che sale dall'Etna, la nota stonata del flauto dolce della scuola media, il ginocchio sbucciato la prima volta che siamo andati sui pattini, il campanellino della bicicletta.
Siamo l'ombra della carezza dei nonni, del sorriso della mamma, della foto scattata col fratellino, del paesaggio di una terra straniera.

Siamo... sì, amo!

E fu sera e fu mattina...LIV giorno.






















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