domenica 9 maggio 2021

Poesie - Jorge Luis Borges

 Penso che se esistessero ancora i manicomi, farei una valigetta, porterei dei libri e mi farei ricoverare.
Mi sottoporrei anche a terapia, se lo ritenessero opportuno, se volessero fare sperimentazione.
L'unica richiesta sarebbe: lasciatemi in pace, non parlatemi, se non strettamente necessario.
È tutta una grande farsa. La vita non ha senso. Noi non decidiamo niente. Nessuno di noi è libero. Siamo tutti schiavi. Vacche fatte ingrassare per alimentare la borsa di pochi uomini.
Siamo solo vacche.


Libero dalla memoria e dalla speranza,
illimitato, astratto, quasi futuro,
il morto non è un morto: è la morte.


Non sono molto pratica di poesia. Cammino su un sentiero a me sconosciuto, con passo lento e incerto. Tuttavia sento di aver trovato un poeta da poter definire "mio".
Non che le persone, le cose, la vita stessa ci appartengano! Lo so anch'io. Ma l'ho sentito proprio vicino al mio cuore. Come sempre scrivo di quello che provo. Non sono sicura che abbiano valore didattico. Ho letto solo questa raccolta di poesie selezionata dallo stesso autore. Le stesse poesie sono state composte tra il 1923 e il 1976. Un intervallo di tempo molto lungo. Durante il quale gliene sono capitate di ogni. Non ultima la cecità. Tuttavia questa grave malattia non ha tolto nulla all'atto creativo di Borges. Forse uno dei primi a inventare, usare il realismo magico (ecco perché piaceva a Murakami, chissà!). La sua prosa prima e la sua poesia dopo, hanno ispirato il mondo del fantasy e non solo.
Dal mio modesto punto di vista ho apprezzato una scrittura per me chiara, semplice. Una costruzione per niente complicata. E la cosa, lo so, è completamente priva di senso perché Borges parla per metafore. Indaga un mondo che non esiste, e anzi, si interroga su quanto ci sia di reale in ciò che noi viviamo.
La letteratura è il suo campo d'azione preferito. Prende i protagonisti dei libri e con essi gioca, mescolando la loro vita alla nostra, alla sua. E alla fine allora qual è la vita vera?

Sublime la poesia Scacchi:

Nell'angolo severo i giocatori
muovono i lenti pezzi. La scacchiera
li avvince fino all'alba al duro campo
dove si stanno odiando due colori.

Su di esso irradiano rigori magici
le forme: torre omerica, regina
armata, estremo re, cavallo lieve,
pedoni battaglieri, obliquo alfiere.
Quando si lasceranno i due rivali,
quando il tempo oramai li avrà finiti,
il rito certo non sarà concluso.

In Oriente si accese questa guerra
che adesso ha il mondo intero per teatro.
Come l'altro, è infinito questo gioco.

II

Debole re, pedone scaltro, indomita
regina, sghembo alfiere, torre eretta
sul bianco e nero del tracciato cercano
e sferrano la loro lotta ramata.

Non sanno che il fortuito giocatore
che li muove ne domina la sorte,
non sanno che un rigore adamantino
ne soggioga l'arbitrio e la fortuna.

Ma il giocatore è anch'esso prigioniero
(Omar lo dice) d'una sua scacchiera
fatta di nere notti e bianchi giorni.

Dio muove il giocatore, e questi il pezzo.
Che dio dietro di Dio la trama inizia
di tempo e sogno e polvere e agonie?


Che senso ha il libero arbitro? Non siamo forse pedine tra le mani di un Dio annoiato che gioca con i suoi pupazzi? E Dio chi è? Il pupazzetto di altri dei?
Siamo un sogno nel sogno.
Come gli specchi che riflettono e rimandano immagini di mondi che sono altro dall'originale. Ma l'originale non è a sua volta il riflesso di una primigenia idea?

Con Borges mi sono giocata l'ultimo punto di sanità mentale.
Ora vago tra le valli perdute del tempo che fu, e solo l'acqua del fiume Lete potrà darmi sollievo.

Non dovevo tornare indietro.
Eppure lo sapevo: indietro non si torna. Mi son fatta calpestare.
Spero solo di riuscire a reagire prima possibile.
Avevo impiegato sei mesi per migliorare.
Che stupida.


P.s. Auguri a tutte le Mamme.

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