lunedì 8 febbraio 2021

La Fiera della Vanità - William M. Thackeray

 Ah, Vanitas Vanitatum!
Chi di noi è felice, in questo mondo? Chi riesce a soddisfare le sue aspirazioni?
E chi si sente pago, quand'anche vi riesca?
Suvvia, venite, bambini, riponiamo il teatrino e le marionette.
La commedia è finita.


Dopo mesi mi sono finalmente degnata di finire La Fiera della Vanità; impresa che era iniziata come una passeggiata al parco e che si è trasformata in un'odissea!
(Si vede che sono ancora sotto l'effetto dei classici?)
781 pagine che mi complimento di aver letto!
Perché se c'è un aspetto che mi caratterizza è che quando inizio una cosa, devo portarla a termine.
Non importa se a costo di perdere la vista o il mio amore per la lettura stessa!
In realtà la storia è bella.
Ammiro l'abilità dello scrittore di intrecciare trame secondarie con il corpo della storia principale; il suo ordire è degno delle più abili tessitrici di Ipepa o della astuta Penelope.
Ahimè devo anche dire che in alcuni momenti l'ho trovato di una lungaggine esasperante.
L'ironia e il modo di rivolgersi al lettore mi hanno invece tenuta incollata. Infatti, una volta aperto, il libro non lo molli facilmente. Ma se incappi in alcuni capitoli di contorno o di rifinitura del racconto, vieni esasperato a tal punto che per giorni interi non torni a quei salotti.

Il titolo di questa storia è La Fiera della Vanità,
e che la fiera della vanità è un luogo cove tutto è molto vano, stolido e perverso, un luogo brulicante di imposture e di falsità.

A differenza dei romanzi dell'epoca, il XIX secolo, abbiamo tra le protagoniste, una donzella che è tutto meno che indifesa. E che al vacuo sentimentalismo oppone un cinico realismo.
Nulla da obiettare. Se non fosse che in questo Becky, ovvero Rebecca Sharp, calpesta chiunque per ottenere ciò che vuole.
Penso che nel film la sua figura sia riuscita più simpatica.
Invece nel libro è una serpe odiosa e, mi dispiace contraddire l'illustre autore, non dico questo perché al sicuro nella mia casa.
Becky non combatte per la fame; Becky combatte per ottenere un posto in società, un posto nel tendone del circo, una bancarella nella fiera della vanità.

Al personaggio di Becky, come a voler contrapporre un po' di bontà vediamo delinearsi il personaggio di Amelia Sedley. Simbolo di virtù e innocenza. Così ingenua da sembrare poco interessante e sciocca.
Una bontà stoica.
Che però in alcuni momenti ho trovato fosse una bontà cieca ma sterile.

Non voglio anticipare trame o finali.
Ma vale la pena seguire queste due signorine nel loro volteggiare all'interno della fiera. 
Perché il finale compensa, in parte, l'irritazione e la contrarietà che si prova di fronte ad alcune scene che lo scrittore, ma forse la Vita stessa, costruisce per queste eroine inglesi.

Siamo lontani dalle eroine coraggiose e indipendenti descritte dalle sorelle Brönte o dalla Austen. Donne coraggiose e orgogliose che cercano di costruire la propria felicità indipendentemente da un buon matrimonio.
E così, il mio personaggio preferito non è altro che il caro, valoroso, colto e intelligente William Dobbin. All'inizio viene descritto semplicemente come il migliore amico di George Osborne.
Dobbin, è alto, goffo; con mani e piedi enormi, difficile che ad una donna possa piacere uno così poco attraente. Istintivamente mi ha fatto pensare al caro Levin in Anna Karenina e a Pierre Bezukhov in Guerra e PAce.
Ma il suo finale, per come la vedo io, è migliore.

Vi amo allora come mi amo ancor oggi.
Ormai non posso tacere oltre. Credo di avervi amato dal primo momento che vi ho vista.
[...]
Da quel giorno io non ho potuto pensare ad altre donne.
Ogni mio pensiero è stato solo per voi.
Credo che in tutti questi anni non sia trascorsa un'ora senza che il mio pensiero non sia corso a voi.

Dobbin resta legato ad Amelia anche se lei non vuole sposarlo. Si accontenta di starle accanto, di esserle amico.
Poi però accade qualcosa che lo porta a spezzare quelle catene, a vedere i limiti di Amelia che ha amato incondizionatamente senza che lei, comprende, fosse all'altezza del suo sentimento. 
E qui mi fermo...

Dobbin mi ha fatto capire una cosa: per quanto si possa amare infinitamente, incondizionatamente (che bella parola!) qualcuno non ci si può annullare completamente. Non si può vivere gettato ai suoi piedi e lasciare che quello ci calpesti.
Purtroppo chi viene amato non ha mai rispetto per chi ama.

Avrebbe voluto farla finita con la vita e le sue vanità,
tanto inutile e inappagante gli appariva la lotta.

Tra ieri e oggi ho sentito un sacco di persone dirmi:
- non bisogna perdere le speranze
- non abbattersi
- la ruota girerà ma sta a noi darle una piccola spinta
- c'è chi sta peggio di te, sei fortunata.
Naturalmente, capito l'andazzo, ho indossato la mia maschera più bella e ho replicato con:
- sì, è vero
- sì, è giusto
- ma certo, a volte si esagera con le parole; bisogna crederci sempre
- sì, lo so, sono fortunatissima.

Io mi sento completamente priva di interessi e di volontà.
Nulla desta la mia curiosità.
Il mattino mi sveglio e mi dico: "Ehi cesso, ancora qui stai?".
Invoco la morte ma manco quella mi vuole.
Oggi guardavo i miei.
I miei genitori continuano, ancora oggi, a scherzare, prendersi in giro e avere tenerezze l'uno per l'altra. A volte bisticciano come i cricetini nella gabbietta (me li ricordo bene), per poi tornare a sonnecchiare insieme sul divano.
Perché mai dovrebbero sentire la mia mancanza?
Nessuno la sente.
Nemmeno Persona.
Sono meno di un guscio vuoto. A chi importa di una così?

William Makepeace Thackeray era sposato ma non credeva nel matrimonio.
Sua moglie aveva problemi di salute e non si separò mai da lei, benché cercasse rifugio e conforto in altre donne.
L'ipocrisia è stato il filo rosso dei suoi romanzi ed era ciò che più odiava e criticava nella società inglese cosiddetta perbène.
Eppure tutti ne siamo schiavi.
A volte per quieto vivere, a volte per difenderci dalla realtà.

Quante sono le persone alle quali si può raccontare tutto di noi?
Chi si sente incline alla confidenza quando intorno a sé incontra soltanto incomprensione?
E viceversa chi desidera parlare con qualcuno che non riuscirebbe mai a capire?

Siamo tutti schiavi.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas.


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