martedì 9 febbraio 2021

I Fratelli Karamazov - Fedor M. Dostoevskij

 Un tale dolore non desidera consolazione,
ma si alimenta con il senso della propria inguaribilità.
I lamenti nascono solo dalla voglia di riaprire continuamente la ferita.


Io ci provo ma sono consapevole di non essere degna di affrontare l'argomento.
Centoquarant'anni fa moriva a San Pietroburgo, uno dei più grandi romanzieri e pensatori del XIX secolo: Fëdor Michajlovič Dostoevskij.
Con passione e ispirazione mi sono tuffata tra le pagine di questo capolavoro che ho divorato nell'arco di una settimana: I fratelli Karamazov.
L'ultima opera di Dostoevskij che lascia in eredità a noi miseri mortali, un patrimonio letterario fatto di romanzi, novelle, traduzioni di indicibile valore non solo culturale ma anche psicologico.
Se c'è una cosa che amo di Dostoevskij è come scandaglia l'animo umano, e come riporta nei suoi personaggi tutto il suo sapere.
Non ci si annoia mai. Non c'è una sola, dico una sola pagine su 800, fuori posto o superflua. Ho amato questa storia dalla prima all'ultima parola. E ammirata ho osservato come ogni singolo pezzo della storia si componesse davanti ai miei occhi, pagina dopo pagina.
Non ci si stanca mai di nessuno di questi sventurati fratelli.
Si vuole bene ad ognuno di loro. 
Tutte le idee che si possono avere su "il bene e il male" vengono riscritte e riformulate alla luce di questo capolavoro.
Sentiamo di essere tutti un Karamazov:

Io sono un Karamazov! Perché, se precipito in un abisso, è a capofitto, con la testa in giù e i piedi in su, e sono anzi contento di esservi caduto in maniera così degradante: lo considero bello! E quando sono al fondo della vergogna innalzo un inno. 

Dmitrij è il primogenito dei fratelli Karamazov.
Sembra un folle, un giovane dissoluto, schizofrenico, perduto nelle sue passioni e nelle sue depravazioni. Ma in realtà il suo è un cuore puro, appassionato.
Disorientato dal mondo. Non sa che per fiorire il seme deve prima morire. E nel suo dolore personale abbraccia e prova il dolore dell'umanità intera.

Pur odiandoti di amavo.

Ivan Karamazov è il più complesso dei fratelli.
Adolescente cupo e chiuso in sé, studia e studia tanto.
La sua mente è sempre adombrata da pensieri e considerazioni crudeli quanto vere.
Sempre dilaniato tra ragione e sentimento, non è per amore o convinzione che segue le sue idee. Ma è un orgoglio arido, un voler allontanarsi dal prossimo che lo rende ribelle alla famiglia e alla società. 
Preferisce essere indicato come un ateo, come uno che non crede nell'immortalità dell'anima, piuttosto che accettare una vita in cui è solo con la morte che otterremo giustizia. Qui e ora, dovremmo pretenderla.
Il primo miracolo di Gesù è nella gioia non nella sofferenza; durante le nozze a Cana di Galilea.
Il suo fisico non reggerà ai tormenti della sua mente e della sua anima.
Si ammalerà; vedrà il Demonio ma non cederà di fronte alla visione.
Troppo orgoglioso.

È mai possibile con un tale inferno nel cuore e nella testa? -C'è una forza che resiste a tutto!- disse Ivan con un freddo sogghigno. -Che forza? -Quella dei Karamazov... La forza dell'abiezione dei Karamazov.

Conosciamo Aleksej Karamazov.
Per descriverlo non posso che usare le stesse parole del suo creatore. Perché è proprio così: istintivamente si prova affetto per il piccolo Alëša.
Il dono di destare una speciale simpatia egli l'aveva in sé, per così dire, dalla natura stessa, senza artifici e immediato.
La sua virtù, bontà, intelligenza sono votate al bene.
Rappresenta il lato positivo dei Karamazov. Lui rappresenta il perdono.

Persuaso che Dio e l'immortalità esistono, subito, come logica conseguenza si disse "voglio vivere per l'immortalità e non accetto compromessi di sorta.

Infine, beh sì c'è anche lui, ricordiamo Smerdjakov Karamazov. L'illegittimo. 
L'incomprensibile. Malato, malvagio, dimenticato? Forse è tutto questo insieme.
Rappresenta il sommerso, ciò che non è visto. Il diverso che viene emarginato, che nessuno si preoccupa di capire fino in fondo.

Non faceva che interrogare, rivolgeva certe domande tortuose, evidentemente premeditate, ma senza spiegarne il perché.

Siamo tutti Karamazov?
Non saprei.
Sicuramente porto in me i semi del carattere karamazoviano che si manifestano nel momento in cui mi divido tra emozioni che vanno in alto o che sprofondano in basso.
Abissi insondabili scavano il mio animo tormentato da questi spaventosi sbalzi.

Vi amo da impazzire e se voi non mi amate, fa lo stesso,
siate lo stesso mio marito.
Non temete, non vi darò alcun fastidio, sarò il vostro mobilio, sarò il tappeto sul quale camminerete.

Ma anche:

Entrambi distruggono se stessi senza una ragione, ne sono consapevoli e ne godono.

Ora mi è venuta voglia di leggere Demoni.
E buonanotte al progetto: tanti libri di poche pagine.


ore 22.09
In televisione stanno trasmettendo una partita di calcio.
Gioca la sua squadra.
Fingo indifferenza, ma in cuor mio spero finisca in modo da fargli piacere.
E così capisco che è ancora al centro dei miei pensieri.


Il mio umore disgraziato va accantonato.
Non sono libera di essere egoista.
C'è una persona che ha bisogno del mio sostegno.
Così devo cercare di sembrare allegra e disponibile, per lei.
Devo essere ottimista e rifilare la storia del "bisogna avere un po' di pazienza ma le cose torneranno ad essere belle; torneremo a sognare, a viaggiare; forza!".
Sarà molto difficile per me, ma saprò mentire.


L'arrivo di Draghi richiama alla mente, almeno alla mia, il Canto III dell'Inferno di Dante:

E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: "Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?".

Ed elli a me: "Questo misero modo
tengon l'anime triste di coloro
che visser sanza infamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro
delli angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio, ma per sé foro.

Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli".

Gli ignavi sono coloro che non li vuole né l'Inferno né il Paradiso.
Coloro che mai non fur vivi.
Politici e giornalisti sono gli ignavi di questo millennio.
Non si può più parlar bene del passato, non si può più dire che il narcisismo di un uomo ha messo in crisi un paese intero.
Spero sempre per il bene della mia Nazione, ma non dimentico.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: "Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti."
e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti.


Ho decisamente parlato troppo.


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