venerdì 5 marzo 2021

Lo Straniero - Albert Camus

In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.


Sto cercando di conoscere il maggior numero possibile di scrittori. In questo periodo di pandemia uno dei titoli più quotati, che sicuramente leggerò, è La Peste di Albert Camus. Allora ho tentato un approccio soft, avvicinandomi a questo autore con un bellissimo romanzo breve, dal titolo significativo: Lo Straniero. 
Fu pubblicato 79 anni fa. Ma i romanzi non invecchiano mai. Hanno un ottimo dna.
Ultimamente vado in crisi sulle pronunce.
Come si pronuncia il nome Camus, per esempio? So che è francese, quindi niente "s" finale. Su wikipedia c'è scritto così, secondo il codice fonetico internazionale: alˈbɛʁ kaˈmy. Ma in libreria per fortuna non devo dire nulla, inoltre mi dipingo sempre una faccia ebete (più del solito), così nessuno mi rivolge la parola. Però il dubbio mi corrode dentro. Farò qualche ricerca in più. 
Ma tornando a oggi, quando mi chiedono: "Ma perché stai sempre con un libro in mano?".
Risponderei: "Per questo..."

il passaggio delle nuvole aveva lasciato sulla strada come una promessa di pioggia

poi i lampioni della strada si sono accesi di colpo e hanno fatto impallidire le prime stelle che si affacciavano nelle sera.

E potrei anche spegnere tutto e continuare a guardare il Festival.
Ma questo libro mi ha fatto pensare a tante cose.
Ad esempio, ho trovato curioso notare che con la parola cellulare, in Italia, si possa indicare sia il furgoncino della polizia Penitenziaria per il trasporto dei detenuti, sia quella specie di bacchetta magica con la quale abbiamo imprigionato le nostre esistenze.
Una parola sola per indicare due tipi di prigionia.
E poi ho riflettuto tanto sul senso della vita e della libertà.
Se mi togliessero la possibilità di vedere il mare che farei?
Mi hanno tolto la libertà di abbracciare i miei cari, naturalmente è per un bene superiore e bisogna farlo. Ma queste privazioni così dolorose, oggi come le vivo, come le vivono tutti?

Avevo un po' perso l'abitudine di interrogarmi e che non mi era facile rispondere.

Forse è questo il male del nostro tempo: smettere di interrogarsi? Abituarsi a tutto?
Quando ci si chiede: "Quanto vale Gerusalemme?", cosa si vuole chiedere?
Cosa siamo disposti a fare per qualcosa che si ama? Per qualcosa di importante?

"Niente. Tutto."

Un libro molto bello. Una narrazione fluida e cadenzata. Per alcuni aspetti sembra un diario in cui si riferiscono tutti i fatti vissuti, le sensazioni, le emozioni.
Mi sembra di sentire anche i profumi di Algeri.
Siamo tutti stranieri su questa terra. 
Questa è la lezione che mi sembra di ricavare da questo libro.
Nessuno può pensare di conoscere veramente qualcuno.

In fondo non c'è idea cui non si finisca per fare l'abitudine.

E purtroppo se qualcuno ha un modo di fare diverso da ciò che è considerato abitudine, non viene capito. E la società non impiega molto tempo a eliminare ciò che non capisce, ciò che è fuori dallo schema.
Essere fuori dallo schema ci fa soffrire.
Essere perfettamente nello schema ci impedisce di pensare, ci lascia nella gioia dell'indifferenza.
"Beata ignoranza" avrebbe detto l'anziano maestro di mia nonna.

Così vicina alla morte, la mamma doveva sentirsi liberata e pronta a rivivere tutto. Nessuno, nessuno aveva il diritto di piangere su di lei.
E anch'io mi sentivo pronto a rivivere tutto.
Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo.
Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora.
Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio.

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