lunedì 7 giugno 2021

I Demonî - Fëdor Dostoevskij

C'era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo.
E lo scongiurarono: "Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi".
Glielo permise.
E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare;
erano circa duemila e affogarono nel mare.


Sospirone.
Ieri ero troppo triste per scrivere qualcosa.
I miei sentimenti non mutano: sono triste, mi sento inutile, ho nostalgia di Persona.
Sono una creatura passiva, un parassita.
Sono un mostro che ha avuto la fortuna di nascere in un bel paese europeo. E questa consapevolezza accresce il senso di disagio e dolore, inadeguatezza e violenza: non dovrei essere nel mondo. Non lo merito. Ma sono così pigra che non saprei nemmeno come spegnere anche la luce esteriore (quella interiore è irrimediabilmente compromessa). Oggi in modo particolare è stata una giornata disastrosa: lavastoviglie non funziona, ho rotto il manico di una delle mie tazzine preferite, ho rotto un fermaglio per i capelli comprato da poco, mi son presa il pollice nella porta-finestra (non so come abbia fatto, ma ho provato un dolore terribile e pensavo di svenire), ho sbattuto con la caviglia contro l'angolo dello sportello del frigorifero.
In questo stato di "pericolo pubblico" mi sono fermata e ho, finalmente, concluso I demonî.
Voglio dire una cosa sola: fatemi leggere L'Idiota!!! Sono rapita dal modo di scrivere di Dostoevskij. Il suo tema principale è il male. E la sua scrittura non è mai banale, o scontata. Un viaggio lunghissimo e difficile, ma epico. Potrei metterlo tra le mie letture preferite. Ma non vorrei sembrare una troppo arrogante.
Volo un po' più in basso. E parlerò di questo capolavoro a mio modo, senza pretese.
Devo però avvertire, il rischio dell'ANTICIPAZIONE è, mio malgrado inevitabile. 

Quello che oggi è un romanzo compiuto, nasce come racconto a fascicoli da pubblicare su una rivista. Non è la prima volta che i romanzi di Dostoevskij hanno questa sorte.
Ecco perché, a mio parere, è un romanzo corale, dove non si riconosce un solo personaggio principale. Ma ognuno partecipa alla vita della storia, in parti diverse ma di uguale importanza. Parti che probabilmente hanno subito dei cambiamenti, rispetto al progetto iniziale dell'autore.
Che Dostoevskij sia lo scrittore "del male" è chiaro anche a me.
Un'idea molto forte quella che regge le sue scritture, è che agli uomini piaccia compiere il male.
Tutto qui.
L'uomo fa del male perché gli piace, perché è arrogante, perché non crede in niente e vuole dimostrare la propria superiorità umiliando i più piccoli, per il puro piacere di farlo.
Immagini forti. Dure. Dostoevskijane.
Questa volta la scintilla, l'ispirazione, è la rivoluzione politica.
Ma su questo sfondo, gli uomini si comportano tutti allo stesso modo, solo con sfumature e modalità differenti

Difficile parlare di "personaggio preferito". Strano a dirsi ma ho apprezzato così tanto la scrittura che le mie simpatie erano tutte per Anton Lavrentievič G. l'io narrante, di cui non sapremo nulla. Solo della sua amicizia con lo scrittore, poeta, scienziato e genio incompreso Stepan Trofimovič Verchovenskij.
È questi il primo demonio che incontriamo nella nostra lettura. Ho deciso di chiamare così ogni personaggio. Perché questa è ciò che ho avvertito, mentre leggevo faticosamente ogni pagina densa di parole importanti. Non ne ho saltata nemmeno una!
In un primo momento ho provato simpatia per quest'uomo fragile e incompreso.
Innamorato di una donna più potente di lui, Varvara Petrovna.
Alla quale non confesserà mai in modo sincero, il proprio amore.
Tuttavia nel proseguo della lettura, mi sono resa conto di quanto fosse pusillanime, oserei direi pigro, il suo non agire. Ma lasciare che fossero gli eventi a guidarlo.
Un personaggio che sembrava nato per una commedia, si svela verso la fine adatto ad una tragedia.
Questo il suo ruolo come costruttore del male: non agire.

Ci sono strane amicizie: i due amici vogliono quasi divorarsi l'un l'altro, e vivono così tutta la vita, ma intanto non possono separarsi. Separarsi anzi non è possibile.

Varvara Petrovna Stavrogina è la madre di Nikolaj Vsevolodovič.
Il demonio più complicato di tutti quelli incontrati. 
In un primo momento Nikolaj sembra un aristocratico annoiato, che conduce una vita dissoluta per noia.
Per alcuni aspetti ho provato pietà nei suoi confronti.
Rappresenta il demonio che fa del male perché prova gioia, emozioni vere nel procurare dolore e umiliazioni agli altri.
Tuttavia iniziano i deliri, le allucinazioni. Non è questo il tentativo della coscienza di risvegliarsi e di redimersi?
La redenzione non verrà. Ma sarà l'unico a punirsi per le sue azioni.

Potrei dedicare ore a parlare di questo libro ma diventerebbe un trattato noioso e lungo. Quindi concludo citando il mio personaggio preferito, che è Aleksej Nilič Kirillov.
L'ingegnere, giovane di soli ventisette anni e pallido, dagli occhi spenti. Una descrizione molto triste per un giovane. Eppure è il più lucido di tutti. 
Il pensatore vero del gruppo. Che non dorme consumato com'è dai pensieri.
Ha dichiarato che si leverà la vita si sua spontanea volontà, per dimostrare la non esistenza di Dio. Per liberarsi dalle leggi del mondo, un mondo che non riconosce perché non libero.
Egli metterà in atto il suo suicidio perché padrone del suo libero arbitrio e perché non c'è punizione oltre la morte.
Per me è il personaggio più bello.
C'è un momento in cui lo sorprendiamo mentre gioca con un bimbetto, cerca di fargli dimenticare le lacrime. Si comporta in modo generoso con tutti. E pur non credendo in Dio è forse quello con la fede più luminosa.
In questa citazione, è descritto tutto quello che io provo quando sento, per brevi istanti, che l'universo è perfetto, che la mia anima si è ricomposta.
Erano istanti brevi, che provavo solo con Persona.
Ma io non so parlare. E in me rimane solo un grande vuoto,

Ci sono dei secondi, non ne vengono che a cinque o a sei per volta, in cui sentite tutt'a un tratto la presenza di un'armonia eterna compiutamente raggiunta.
Non è una cosa terrestre; non dico che sia una cosa celeste, ma dico che l'uomo, nel suo aspetto terrestre, non la può sopportare.
Bisogna trasformarsi fisicamente o morire.
È un sentimento chiaro e incontestabile.
Come se a un tratto aveste la sensazione di tutta la natura e a un tratto diceste: sì, è vero.
[...]
Se durasse più di cinque secondi, l'anima non resisterebbe e dovrebbe sparire.
In quei cinque secondi io vivo una vita e per essi darei tutta la mia vita, perché vale la spesa.

Kirillov lo capisco meglio di tutti gli altri personaggi.
Perfettamente inserito nell’atmosfera delirante e tetra del romanzo, all'inizio sembra di poco conto. Eppure lo noti subito.
Il contraltare invece è proprio Nikolai Stavrogin che, come dice lo stesso Kirillov: se crede, non crede di credere, se non crede non crede di non credere. 
L'eroe e l'anti-eroe concluderanno la loro vita in modo simile.
Il primo senza ragione, il secondo spinto da un puro istinto.
Entrambi sprecheranno la propria vita, le proprie passioni.

Spero di non essere fraintesa, ma affrontare il tema del suicidio in questo modo è un gesto rivoluzionario e coraggioso.
I suicida non sono visti bene da nessuno e in nessuna società.
A volte qualcuno prova pietà per loro.
Ma se siamo liberi, non dovremmo essere supportati anche nell'ultimo atto della nostra vita?
Lo so, ci sono troppe implicazioni; troppi sciacalli e avvoltoi pronti ad agguantare le prede che volessero realizzare apertamente un simile proposito.
Il mondo è pieno dei più vili e terribili demonî come Pëtr Stepanovič Verchovenskij.

Però voglio concludere con una bella citazione di Emil Cioran, che si ritiene fortunato di aver potuto sempre pensare alla possibilità del suicidio, perché proprio questo pensiero gli ha consentito di continuare a vivere.

La vita è più difficile di quello che ci raccontano. 
Per questo bisognerebbe essere sempre gentili con il prossimo.
Non si può dire quali battaglie si agitino nei cuori degli altri, quali demonî e angeli cerchino di conquistare la vittoria.

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