martedì 22 giugno 2021

Lettera a chi non c'era - Franco Arminio

Non c'era bisogno della pandemia per capire che la vicenda umana si svolge dentro la dimensione del pericolo e che non c'è modo di immunizzarsi.
Bisogna arare il tremore, seminarvi dentro la nostra voglia di essere qui e di vedere con gli occhi aperti che cosa enorme è ogni giornata, qui nella crepa del mondo.


Di tanto in tanto capita anche a me un momento di oblio. Oggi è stata una giornata molto intensa ma sono riuscita a fare una cosa che malgrado tutto, amo e che pensavo avrei avuto difficoltà a realizzare. Ho trascorso qualche ora al mare. Era pomeriggio, molto afoso e non c'era nessuno. Mi sono fatta coraggio e mi sono messa a nudo. Non immagini che fatica. Odio il mio corpo. Esporlo è per me una continua umiliazione. Sono dimagrita un po' rispetto allo scorso anno. Seno non mi è sembrato più tanto pronunciato. Sono riuscita a ignorare me stessa e tutto ciò che mi circondava e mi sono tuffata. Nel momento stesso in cui l'acqua ha lambito e coperto il mio corpo mi sono sentita rinascere. Ero al sicuro. Ero a casa. Mi hanno ridestato delle correnti sottomarine, freddissime! Sono stati i quindici minuti più belli degli ultimi mesi. Ho pensato a Persona. Volevo scrivergli. Lo volevo tanto. Ma non ho trovato le parole per farlo. Io non sono niente. Il niente sta con il niente. Il tutto sta con il tutto. È una legge dell'universo, che come tale va rispettata.

Il resto del pomeriggio l'ho trascorso leggendo l'ultima fatica di Franco Arminio. Mi ha intristito molto. Parla del terremoto in Italia. Già. Di tutti i terremoti in Italia. Parte dalla sua esperienza nel 1980 in Irpinia, per abbracciare i terremoti che hanno scosso la Nazione in luoghi e tempi diversi.
Ha citato Gaetano Salvemini, Benedetto Croce e le persone di ogni giorno.


Se potessi li andrei a trovare
tutti i morti di tutte le tragedie.

Ero indecisa. Quando sono entrata in libreria cercavo un libro di poesie, ma non volevo ripetermi con Arminio. Ma è un'uscita nuova ed ogni tanto si deve fare qualcosa di diverso rispetto al proprio quotidiano. E non mi sono pentita della scelta che ho fatto ("nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto", come canta in questi giorni Caparezza). Il modo di scrivere di Arminio è particolare. Prende un oggetto comune del paesaggio, uno di quelli che hai sempre sotto il naso tutto il giorno, tutto il tempo, tutta la vita e te lo trasforma in una persona, in un amico. Gli dà un'anima. O molto più semplicemente sa ascoltare le parole degli oggetti, degli alberi, delle pietre. E restituisce quei dialoghi interiori a noi sordi, distratti abitatori di città frenetiche, che non si fermano mai.
Ho scavato con Arminio sotto le macerie delle tragedie che hanno caratterizzato il nostro territorio, ho inalato la polvere che inevitabilmente, ogni terremoto solleva al suo passaggio.
Mi sono sentita spaesata.
Mi sono sentita la bambina affacciata al balcone che non c'è più di De Luca. Mi sono sentita persa nella consapevolezza che il destino dell'uomo è inevitabile, come diceva Circe, proprio ieri sera a Leucotea.

Cos'è la vita? Solo un insieme di attimi che si ripetono sempre uguali.
E che portano tutti al solito noto finale.

Quella che ha scritto questo post, già non è più, mentre si avvia alla sua conclusione.
Eppure il mio umore è sempre lo stesso: triste e nudo.
Sono convinta che sia meglio per me stare in silenzio.
Nel vuoto che ho dentro, l'eco del silenzio compone una musica particolare.
Mi avvicina al vuoto dell'universo, al pulsare delle stelle, all'esplosione di mondi, alla creazione di attimi, altri, nuovi e sempre uguali.
Un'infinita spirale.

Mi rivedo nell'immagine scelta per questo libro.
Sembra una luna piena di crepe. I pezzi sono stati erosi, non combaciano più. 
Non si può ricomporre.
C'è qualcosa che manca.
Eri tu che tenevi uniti i pezzi.
Ma ora che ho capito che non posso andare avanti così, ecco che scompari e al tuo posto solo frammenti privi di senso.

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