lunedì 21 giugno 2021

Dialoghi con Leucò - Cesare Pavese

 Nessuno si uccide. La morte è destino.
Non si può che augurarsela, Ippòloco.


Ho bisogno disperatamente di parlare con Cesare Pavese. Ho bisogno che mi dica dove ha trovato il coraggio. Perché lui sussurra alla mia anima, come nessuno riesce a fare, ma si è dimenticato di spiegare la cosa più importante di tutte: quando succede che cosa si sente veramente.

Se domani dovessi svegliarmi con lo stesso umore di questo lunedì, beh allora tanto varrebbe non svegliarsi più. L'unica cosa che mi disturba è il pensiero di abbandonare il mio corpo alle pratiche dei vivi. Vorrei che nessuno lo scoprisse nudo e inerme. Questo pensiero ancora così umano mi tiene in vita. Per il resto la mia esistenza continua a non avere senso. Non so stare al mondo. Non sono di compagnia per nessuno. Sono odiosa e scostante. Irritata e irritabile. Non riesco a concentrarmi su nulla. Nulla desta il mio interesse. Nulla fa palpitare il mio
cuore. Sono già un'ombra. Fissa in un istante che si ripete all'infinito.
Ero in dubbio se comprare questa edizione o quella più economica della Feltrinelli. Sfogliando le pagine mi sono resa conto che avevo bisogno di una cosa bella. E ho comprato questa targata Adelphi. Che è oggettivamente impaginata meglio e vien voglia di leggere e rileggere all'infinito.
In copertina c'è un olio su tela dell'artista svizzero Vallotton Félix Edouard (1865-1925), dal titolo "Orfeo squartato dalle Menadi". Orfeo è il mio spirito, le Menadi sono le mie esperienze di vita. Dopo tante letture un po' vuote degli ultimi mesi (naturalmente ci sono delle eccezioni), devo dire che aver ritrovato un autore come Pavese mi ha riscattato. Come se per alcune ore avessi fatto pace con me stessa. Come se il tempo vissuto, rubato al destino, non fosse stato vano.
Un libro bellissimo, che ho trovato nella sezione delle poesie. E che di poetico ha veramente molto. Non avevo idea di quanto fosse splendido.
Pavese è decisamente uno scrittore che amo. Che mi turba e mi capisce.
Potrebbe prendere posto accanto a Calvino, o forse sorpassarlo. Non saprei. Devo rileggere qualcosa per capire a chi va la mia preferenza. (Se una notte d'inverno un viaggiatore resta insuperabile. Forse è l'esistenza di Pavese che me lo rende vicino. Ci penserò ancora.)
Nei Dialoghi, pubblicati nel 1947, Pavese compie quell'opera che prende il nome di riscrittura. Parte dal mito, che sappiamo bene ha tante versioni e tante sfumature, ma non si pone il problema di riscriverlo nel senso di darcene una storia nuova. Semplicemente aggiunge delle parole che i protagonisti avrebbero potuto dire in alcune particolari circostanze. Inutile dire che il dialogo che mi ha preso maggiormente è quello di Circe e Leucotea. La maga Circe resta una delle figure letterarie più belle di sempre.
I dialoghi sono strutturati come fossimo a teatro e possono essere letti senza un ordine specifico. Banalmente ho seguito lo scorrere delle pagine, perché sono un tipo privo di fantasia.
Mi è piaciuto il modo in cui Pavese ha usato il mito classico per dimostrarne ancora una volta la sua modernità; le angosce dell'uomo antico sono le stesse di quello moderno; gli dei del passato si intrecciano con il sentimento di fede del mondo moderno. Sempre l'uomo si è interrogato sulla sua esistenza, sull'amore, sull'amicizia, sulla morte e continuerà a farlo anche in futuro.
Rileggere i nomi del mito greco, ancora una volta, mi placa e mi fa sentire a casa, in terra natia. Per qualche ora non mi sono sentita una straniera. 

I Dialoghi con Leucò sono oggi famosi perché in quella tragica notte tra il 26 e il 27 ago­sto 1950, Pavese scelse di averli accanto e vi scrisse sopra il suo messaggio di addio: "Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Non fate troppi pettegolezzi".
Quando furono pubblicati non furono molto apprezzati e capiti. Il mito in Italia, a quei tempi, non era in voga, era polveroso e ostile, distante. Dopo oltre settant'anni sono qui ad ammirarne la bellezza. E a chiedermi ancora una volta che senso abbia il mio tempo su questo pianeta.
La vita è semplicemente dolore e tutti siamo prede dell'inevitabile destino.
Il finale è lo stesso per tutti.
Morire però non è la cosa peggiore che possa accadere. Il non svegliarsi mai, quella è la cosa peggiore.
Io sono sveglia solo quando posso amare. Ora l'ho capito.
Sono come Orfeo che compresa la caducità della vita, dell'impossibilità di un ritorno al passato, sceglie volontariamente di voltarsi e liberare Euridice da una nuova vita che avrebbe avuto sempre l'olezzo della morte e nessun colore, nessun calore di quello che avevano vissuto in precedenza.

Strana cosa che per capire il prossimo ci tocchi fuggirlo.
E i discorsi più veri sono quelli che facciamo per caso, tra sconosciuti.

Ecco, Pavese che sussurra alla mia anima. Lui sa quanto sia importante Persona per me. Lui lo capisce. Ma io ho deciso di non abusare più della sua pazienza. Se penso a quello che gli ho raccontato, a quel poco che sono riuscita a dirgli mi chiedo: "Ma come ti sei permessa di disturbarlo con i tuoi pensieri? Come hai osato disturbare un dio!".

Pavese si tuffò oltre la morte e accanto volle la sua Leucò per un ultimo dialogo: "L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia".
Leucò si chiamava anche Bianca Garufi e fu sua amica e collaboratrice.

p.s. Solstizio d'Estate, fa caldo, spero di sciogliermi.
Se dovessi svegliarmi, allora scriverò ancora. 

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