domenica 20 marzo 2022

Un'ala di riserva

 Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all'ebbrezza del vento!
(don Tonino Bello)


Caro Bloggy,
qualche giorno fa, credimi, pensavo a don Tonino Bello, uomo di pace, sacerdote della chiesa del grembiule. Era un vescovo mite, buono, dalla voce gentile ma ferma. Pronto ad aiutare tutti e a condannare le ingiustizie. Odiava il peccato, amava il peccatore. L'unico Vescovo al mondo a cui non si baciava la mano, ma la guancia; che non si chiamava "sua Eccellenza" ma "don Tonino". Nemmeno Antonio, che era il suo nome! Semplicemente don Tonino. E chi lo ha incontrato ha avuto una specie di stigmate; li riconosci quelli che hanno visto don Tonino in vita. Anche la persona peggiore del mondo, anche quelli come me, che pure hanno dentro di sé qualcosa di buono, sono stati cambiati dalla sua voce.
Allora mi sono chiesta: cosa avrebbe detto in questi giorni di guerra, di inaudite barbarie? Lui che negli anni della guerra nella ex Jugoslavia si è speso tantissimo. Organizzò la Marcia della Pace sotto le bombe; credo sia stato il mio primo incontro con la bandiera arcobaleno. Sullo zaino di scuola (rigorosamente Invicta) avevo legato un piccolo pezzo di stoffa bianco: il mio simbolo di pace. (Che anni! Che innocenza!)
Così scriveva don Tonino in una lettera indirizzata ai responsabili della guerra nella
ex Jugoslavia: «A tutti diciamo deponete le armi, sottraetevi all’oppressione dei mercanti
della guerra, (…) non sottraetevi alle responsabilità di influire in modo determinante, ma
non con le armi che consolidano la vostra potenza e le vostre economie, ma con efficaci
mezzi di pressione e di dissuasione, per fermare questa carneficina che disonora insieme
chi la compie e chi la tollera».

Don Tonio Bello è stato tante cose, ma soprattutto è stato un uomo scomodo. Parlava di PACE, ma non come qualcosa di immobile e statico, ma come una cosa dinamica, di denuncia, di conquista. Diceva al mondo che doveva rinunciare alle armi, alle guerre, e ai politici non piacevano le sue parole. (Anzi! In tanti lo hanno insultato e aggredito aspramente anche nei dibattiti televisivi.)
Le sue parole, le ho ritrovate nel libro di Gino Strada (anche lui aspramente criticato e infangato) e mi sono sentita oggi, come avvolta da una coperta i cui lembi avevo aperto esattamente una settimana fa.

Oggi il mio Cucciologuerriero mi ha chiesto di fare i compiti insieme. E indovina? Doveva commentare una poesia scritta proprio da don Tonino.
Trasse ispirazione da una antica leggenda che raccontava di angeli con un ala soltanto. E la si trova in conclusione di un suo libro Alla Finestra la speranza. Lettere di un vescovo, del 1988, pieno di riflessioni ancora attuali e mai banali sulla vita e la modernità.
In questo momento mi manca don Tonio; e anche il mio vecchio sacerdote.
Oggi avrei saputo chiedergli molte cose, ma quando si è giovani che si capisce? Niente. Non si ha il coraggio nemmeno di chiedere.
E sai di chi altri sento la mancanza? Di Dio. Mi manca sentire la sua presenza. Mi manca la preghiera.

Oggi Nipotinino mi ha chiesto una prova molto difficile da sostenere. Perché proprio io ho dovuto spiegargli il senso di una preghiera che mi sbatte in faccia il mio fallimento come persona e come cristiana. Il mio abbruttimento, il mio lassismo, il mio lasciarmi andare era lì, nero su bianco; e ho dovuto pure spiegarlo.

Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere non è “trascinare la vita”, non è “strappare la vita”, non è “rosicchiare la vita”.
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento.

Me lo sono detto tante volte: vivere non è "trascinarsi".
E un'altra cosa che dico spesso e penso con tutto il cuore, è la seguente: vivere sul mare rende le persone diverse dagli altri.
Hai mai visto il volo di un gabbiano? Seguilo se ti capita. Una meraviglia di aerodinamica ed evoluzione.
Il gabbiano non vola, come fanno gli altri uccelli. No, lui si abbandona al vento. 
E quel vento, per quanto violento sia, non gli fa mai del male. Il gabbiano si libra con un'eleganza e semplicità che nessuna creatura al mondo possiede. E sembra fiducioso, tranquillo. Lui sa che può fidarsi, abbandonarsi...

Vorrei essere come lui, vorrei sapermi abbandonare come un gabbiano all'ebbrezza del vento.
Vorrei che il vento fosse l'Amore, vorrei sapermi abbandonare all'ebbrezza di Dio.

La pace è una meta sempre intravista, e mai pienamente raggiunta. La sua corsa si vince sulle tappe intermedie, e mai sull'ultimo traguardo. Esisterà sempre un "gap" tra il sogno cullato e le realizzazioni raggiunte.
I labbri delle conquiste non combaceranno mai con quelli dell'utopia, e il "già" non si salderà mai col "non ancora".
Ciò vuol dire che sul terreno della pace non ci sarà mai un fischio finale che chiuda la partita, e bisognerà giocare sempre ulteriori tempi supplementari. Tutto questo può indubbiamente provocare delusioni e stanchezza, creando collassi operativi e crisi da insuccesso.
Ma chi è convinto che la pace è un bene la cui interezza si sperimenterà solo nello stadio finale del Regno, troverà nuovi motivi per continuare la corsa anche nella situazione di scacco permanente in cui è tenuto dalla storia.
Cristo, nostra Pace, non delude Coraggio, allora!
Nonostante questa esperienza frammentata di pace, scommettere su di essa significa scommettere sull'uomo. Anzi, sull'Uomo nuovo. Su Cristo Gesù: egli è la nostra Pace. E lui non delude.
Del resto anche lui, finché staremo sulla terra, sarà sempre per noi un Ospite velato. Faremo di lui un'esperienza incompleta, e i suoi passaggi li scorgeremo solo attraverso segni da interpretare e orme da decifrare. Faccia a faccia, così come egli è, lo vedremo solo nei chiarori del Regno di Dio.
Allora, come per una arcana dissolvenza, le linee con cui abbiamo tenacemente disegnato la pace quaggiù si ricomporranno nella luce dei suoi occhi e assumeranno finalmente i tratti del suo volto. E la realtà, stavolta, sopravanzerà il sogno. Ma qui siamo già alle soglie del mistero!
(don Tonio Bello, Sui sentieri di Isaia)


Nella mia città, lontano dall'abitato, dalle aree industriali, quasi abbandonato e solo, è stato eretto un monumento a don Tonino Bello.
Mi sono sempre chiesta perché questa scelta, a mio dire, scellerata.
Ma oggi ho capito: "Issata fuori dall’abitato, quella croce sintetizza le periferie della storia ed è il simbolo di tutte le marginalità della terra.
Ma è anche luogo di frontiera, dove il futuro si introduce nel presente, allagandolo di speranza". 
Don Tonino è fuori dall'abitato, per incontrare gli ultimi, gli emarginati (chiunque essi siano; anche le persone come me) per dir loro nel silenzio: "Coraggio!". Non siamo mai soli. 

Oggi è l'Equinozio: benvenuta Primavera. Segno di rinascita, di risveglio, di Pace.

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