lunedì 18 novembre 2019

Il Libro dell'Inquietudine - Fernando Pessoa

"E in fondo alla mia anima (unica realtà di questo momento)
c'è una pena intensa e invisibile,
una tristezza simile al rumore di qualcuno che piange nel buio di una stanza."

Ieri sera mi sono imposta di finirlo.
Mi mancavano le ultime cinquantadue pagine, e rinviavo ormai da dieci giorni.
Sono indietro di un libro, sulla mia tabella di marcia mensile.

Il libro dell'inquietudine non è un libro qualsiasi.
Credo in una forma di destino, vaga e leggera, come una brezza estiva che scompiglia i capelli.
E credo che il destino mi abbia voluto scompigliare l'anima, senza stravolgerla, solo smuoverla.
In alcuni passi avrei detto "ehi, l'ho scritto io", se non fosse per la bellezza della prosa e la precisione grammaticale.

Un libro che obbliga a guardarsi dentro e a portare lo sguardo sul mondo e attraverso il mondo.
Gli altri sono tante finestre attraverso cui guardare, all'interno delle quali poter anche sbirciare.
Raccontare, immaginare e creare un mondo reale. Perché vivo attraverso noi-creatori.
Vita che ha senso più per chi dorme e sogna, che per chi vive senza vivere. Senza consapevolezza.
La vita: "una cosa triste con alcuni intervalli allegri".

Ho trascorso momenti che mi sembravano bui, perché mi svegliavo con l'idea fissa di tornare a letto. Sperando che la giornata volgesse al termine il più velocemente possibile. Con il desiderio folle di aiutare il carro del sole a correre veloce. Aspettando solo la notte, il silenzio, il sonno, l'oblio.
"Vivo sempre nel presente. Non conosco il futuro. Non ho più passato. L'uno mi pesa come la possibilità di tutto, l'altro come la realtà di nulla. Non ho speranze né nostalgie."

Mi riconosco quando scrive che rileggendosi non si riconosce, ed è bellissimo riconoscersi non in se stessi ma in un altro.
Non riconosce il se stesso del passato; scrivere in maniera corretta e forbita, pensava fosse una decisione nuova e meditata, ma rileggendosi scopre che era una caratteristica già sua, già presente. Come svegliarsi da un sogno e rendersi conto che non si stava sognando.

"E' necessario un certo coraggio intellettuale per riconoscere lucidamente di non essere altro che uno straccio umano, un aborto sopravvissuto, un folle che tuttavia non necessita di essere ricoverato in manicomio."

"Vivo perpetuamente sulla difensiva. Gli altri e la vita mi feriscono. Non posso fissare la realtà negli occhi. Perfino il sole mi avvilisce e mi spaventa."

Sull'amore io e Soares la pensiamo in modo differente.
Forse è vero che "amiamo solamente l'idea che ci facciamo di qualcuno".
Ma se così fosse, dovremmo essere continuamente innamorati e di chiunque.
Invece uno può rimanere una vita in perfetta solitudine, avere amici, curare interessi, senza perdere il sonno per quell'uno. Senza desiderare di essere migliore del migliore dei se stessi possibili, semplicemente per piacere ad una persona. Una sola, su sette miliardi.
L'amore che toglie il respiro, ti fa sudare le mani, ti fa sorridere come un cretino semplicemente perché ti ha rivolto la parola, non esisterebbe.
Credo.
E nel mio caso, sarebbe stato meglio. 

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