martedì 3 novembre 2020

Marcovaldo ovvero le Stagioni in Città - Italo Calvino

Il vento, venendo in città da lontano,
le porta doni inconsueti,
di cui s'accorgono solo poche anime sensibili.


Che giornata terribile. E tante ne devono ancora arrivare.
Per distrarmi un po' ho ripiegato su dei racconti un po' da infanzia.
Per precisione sono quattro racconti per cinque cicli di stagioni: con il protagonista e la sua famiglia, viviamo cinque primavere, cinque estati, cinque autunni e già, cinque inverni.
La letteratura dei ragazzi grandi è proprio quella che ci vuole.
Da un lato ti fa tornare bambino, vagando tra le pagine di racconti spensierati.
Da un lato apre l'anima alla riflessione.
Io sono un po' un Marcovaldo. A volte perdo l'autobus per seguire i discorsi tra gli uccellini.
Un prato isolato, attraversato dal volo di farfalle mi fa pensare ad un regno incantato.

La città ha divorato gli spazi, ha modificato il paesaggio anzi ne ha creato uno nuovo: il paesaggio urbano, per l'appunto.
Ma c'è qualcosa che azzera tutto; un elemento naturale che per un attimo può cancellare ogni forma, ogni colore, ogni rumore...

Ecco, sotto la neve non si distingue cosa è di neve e cosa è soltanto ricoperto.
Tranne in un caso: l'uomo, perché si sa che io sono io e non questo qui.

La neve riesce ad isolare tutto anche i pensieri.
Calvino scrive in un modo poetico. Sa essere ironico e contemporaneamente portatore di messaggi importanti.
C'è un codice ambientalista in questi racconti: le persone non sanno più riconoscere funghi velenosi da funghi buoni, la pianta che abituata a restare al chiuso di un ufficio dimentica di se stessa e della sua reale natura, le insegne luminose che contendono lo spazio della volta celeste.
Ci sono bambini che non sanno come cresce l'uva; pensano esista l'albero, non conoscono i tralici. Che non sospettano minimamente donde provenga il latte delle loro colazioni.

Il freddo ha mille forme e mille modi di muoversi nel mondo.

Anche questa volta ho avuto la fortuna di trovare un pezzettino di me. Sono un coniglio. Non molto fortunato in realtà, perché mi hanno usato per un esperimento scientifico ("mi hanno" perché mi sento proprio vicina al coniglietto).

Era una bestia nata prigioniera: il suo desiderio di libertà non aveva larghi orizzonti.
[...]
E da quando dentro di sé sentiva rodere un male indistinto e misterioso,
il mondo intero lo interessava sempre meno.

C'è un momento in cui parla anche di spese e consumi. E allora ho ripensato alla società signorile di massa, ai giorni del lockdown.
La paura cresce in maniera direttamente proporzionale ai decreti. A questo punto della vita credo di aver preso una decisione seria e di cui non mi pento minimamente. E se ci sono i gatti ad accompagnare un autunno di Marcovaldo, credo di poter dire che il mio segnale l'ho ricevuto.
Persona non c'è. Non c'è nel libro, non c'è nella mia vita, non c'è nei miei messaggi.
Resta stabile nel mio cuore e nei miei pensieri.

Lo sguardo di Marcovaldo scrutava intorno cercando l'affiorare di una città diversa,
una città di cortecce e squame e grumi e nervature
sotto la città di vernice e catrame e vetro e intonaco.

E qui torna un altro tema a me caro: l'immaginazione.
A volte mi sembra salvezza, a volte mi appare come forza distruttrice.


P.S. La mia edizione l'ho scelta volutamente tra gli scaffali dei "piccoli", dopo essermi assicurata che il testo fosse integrale. Credo ripeterò la scelta.
In particolare, questi racconti furono illustrati dal romano Sergio Tofano, in arte Sto.
Vita piena e incredibile.
Fu il papà del Signor Bonaventura; solo per citare una sua creazione.

Qui comincia la sventura
del Signor Bonaventura...

I bambini italiani più fortunati, quelli che passavano il tempo coi nonni e i loro racconti strampalati, senza il supporto di Google pronto a smentire o confermare tali racconti, sicuramente si ricordano questa introduzione.
La mia ingenuità di bambina, capiva "qui comincia l'avventura".
E sì, ero proprio piccolina.


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