martedì 22 dicembre 2020

Del Piacere di Leggere - Marcel Proust

 Si ama sempre uscire un po' da se stessi e viaggiare,
quando si legge.

Questo blog ha subito più variazioni di una farfalla.
Ai primordi scrivevo sporadici pensieri senza un progetto, per urlare ciò che mi passava per la testa. Poi ho tentato di fare foto costruite, carine. Compravo anche accessori per montare qualche foto. Ma ho lasciato perdere e mi sono concentrata solo sui libri.
Oggi non so nemmeno io cosa sto combinando. So soltanto che metto in pausa il racconto finale di Harry Potter, di cui oggi trasmetteranno la prima parte, e cercherò di scrivere e leggere anche nei giorni di festa.
A proposito di questo saggio breve ma intenso parto con una polemica personale.
È una nuova traduzione. Il titolo è diventato Il Piacere della Lettura. Ma nelle edizioni passate era Del Piacere di Leggere. Non sono un'esperta ma a mio parere hanno stravolto il senso del saggio, il suo cuore. E la cosa non mi è piaciuta. Quindi, mi scuso con Marcello (Proust), ma temo di non aver assaporato la sua scrittura, il suo pensiero proprio a causa di una rivisitazione che non mi ha convinto.
Quindi con questo spirito sorridente mi appresto a scrivere di una lettura che non è stata molto scorrevole per me e che mi ha costretto in più di un'occasione a tornare indietro al punto iniziale.
Spero di riuscire a trovare una vecchia edizione. Perché voglio capire, ed è la prima volta che mi succede, quale sia il problema: la traduzione, Marcello o io?

(Mentre scrivo guardo I doni della Morte. Sto già piangendo!)
Era il 1905 e Proust pensa: "Ruskin che dici? Leggere un libro non è come conversare con qualcuno!".
Così prende carta e penna e scrive quello che pensa della lettura e del leggere. Il saggio è lungo 60 pagine. Un discorso lucido e continuo in cui si affrontano diversi aspetti del mondo dei libri.
L'inizio è esaltante. Naturalmente è stato il motivo che mi ha fatto iniziare questo viaggio.
Le prime pagine sono dedicate alle letture giovanili. In altre parole a quelle macchine del tempo, quei passaporta che ci hanno fatto compagnia nei primi anni della nostra vita. Le emozioni delle ultime pagine; la delusione dell'epilogo, quando tutto è già scarico e l'autore non sembra lo stesso che ci ha donato paesaggi e amici indimenticabili.

Ciò che lasciano in noi è soprattutto l'immagine dei luoghi e dei giorni in cui le abbiamo fatte.

Per anni sono stata fisicamente in un luogo e mentalmente da un'altra parte.
Probabilmente è ancora cosi oggi. Ma ciò che voglio dire è legato anche a quello che ho letto ieri nel saggio di Bettini (-ehi! tutti questi saggi, non mi renderanno una persona saggia?-): le grandi storie, i grandi libri influenzano il nostro modo di parlare, di pensare e quindi di agire. Siamo ciò che leggiamo, ciò che abbiamo letto negli anni della nostra infanzia.

Un ricordo talmente dolce […] che ancora oggi, se ci capitano tra le mani i libri di un tempo, li sfogliamo come fossero gli unici calendari conservati dei giorni passati e ci aspettiamo di vedere, riflessi sulle loro pagine, le case e gli stagni che non esistono più.

Dopo questo inizio sognante Proust entra nel vivo della critica.
E lo fa alla maniera tradizionale: polemizzando. E detto tra noi: adorooo!
Roba da popcorn!
Scusa Ruskin, ma io sto con Proust.
Leggere non è un dialogo, ma un monologo interiore.
Dall'esterno possono arrivare delle risposte ma solo se uno prova a interpretarle. 
Continuo a sostenere che i libri siano miei amici, ma è innegabile che con essi si parli in un modo diverso. Il silenzio, la solitudine nella quali si realizza il nostro parlare è diverso. Ci insegna ad ascoltare, ci insegna a lavorare su noi stessi. A meditare sulle risposte che abbiamo avuto.
A volte noi lettori cerchiamo nello scrittore una sapienza superiore. Vorremmo che ci indicasse la via, che ci desse delle risposte chiare. Ma la rielaborazione, la ricerca della risposta è appannaggio soltanto di chi legge.
La lettura da sola ha dei limiti.
Ma è grazie ad essa che si attivano dei meccanismi che altrimenti non si realizzerebbero.
Forse come dice Proust per pigrizia, forse per paura. Forse semplicemente perché non lo sappiamo fare: scivolare nei meandri più reconditi della nostra anima e scandagliare il nostro io non è una cosa che si riesca a fare con disinvoltura.
La lettura è la molla che ci fa partire, colei che ci porta ad uno stato di solitudine e silenzio tali da smuovere ciò che era comodamente, pigramente, deposto e sepolto sul fondo della nostra coscienza.

Quando la lettura è per noi l'iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire, allora la sua funzione nella nostra vita è salutare.

Decisamente nella mia vita lo è.



(Nel frattempo Hermione ed Harry si sono divisi da RonRon. La radio è accesa e loro due che sono abbattuti e tristi si mettono a ballare. La scena di amicizia più bella del mondo. Sono di quelle persone che crede fermamente nell'amicizia tra una donna ed un uomo.
Chi invece ci vede sempre altro non sa proprio cosa si perde!
Come si può vivere senza amore? 
Aiuto!
Toglietemi questo sentimento.)

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