Oh, amore eterno, che dura un istante!
(Arturo Borja)
In queste notti estive ho in testa una gran confusione di eventi.
Li ho registrati sommariamente sulla mia agenda. Ma non scrivo il diario da tantissimi giorni.
Domenica e Lunedì sono volati. Al contrario dell'infinito sabato.
No, niente messaggi da Persona. Nessuna novità sconvolgente.
Semplicemente sono stata con i Principini. E l'oggi, già diventato ieri, l'ho trascorso tra le solite incombenze settimanali.
Cosa vuol dire essere umani? Cos'è l'umanità?
Abbiamo bisogno di leggi per vivere bene, per far rispettare diritti?
A guardarsi intorno vien da dire: sì.
Eppure nutro la sincera convinzione che nel mondo ci siano tante persone che si mettono a servizio degli altri, senza ricevere mai un "grazie" in cambio.
La mia è una riflessione, non molto lucida in realtà, ma figlia di un post letto in giro, sui social.
Qualcuno di buon cuore ha aiutato un ragazzo disabile ad entrare in acqua, nel mare, per la prima volta.
I più rigorosi si sono indignati: in una società civile non si può contare sulla bontà del prossimo, ma sulle leggi! Quel ragazzo aveva diritto ad apposite passerelle che lo portassero in acqua!
Be' sì, giusto.
Però mi girava in testa il lavoro di Margaret Mead, antropologa statunitense del Ventesimo secolo, che disse: "Tra gli animali una zampa fratturata significa la morte, perché un individuo non può più cacciare, né fuggire da un predatore. Nessun animale, perciò, sopravvive abbastanza a lungo per permettere a un arto di rinsaldarsi.
Al contrario, un femore o un altro osso che è guarito è la prova che un altro individuo ha assistito chi si è infortunato, lo ha aiutato a curare la ferita, l’ha portato in un luogo protetto e lo ha accudito fino alla guarigione."
Il primo segno di civiltà è un osso rotto che qualcuno si è preso la briga di far rinsaldare.
Dalla rottura è nato un gesto d'amore.
L'amore è un gesto di rottura.
Forse questo significa essere umani: prendersi cura degli altri.
Quando non lo si fa straripano disumanità e orrori.
Arturo Borja fu un poeta ecuadoriano nato verso la fine del XIX secolo e morto a soli vent'anni. Faceva parte della così detta Generazione decapitata; cioè quella generazione di poeti che si tolse la vita in giovane età.
La poesia che ho trovato per il 23 agosto parla di un ricordo. Del ricordo di una fanciulla, che il poeta ha visto un attimo e che vive dentro la sua memoria.
Siamo tutti fantasmi nei ricordi di qualcuno.
A me capita spesso di ripensare ai volti, alle persone che ho incrociato, sfiorato nella mia vita.
Vivo sempre in un altro mondo, in un altro momento rispetto all'oggi.
Guarirò?
ore 01.50
C'è una malinconia profonda nel mare della sera.
Me lo immagino prendere fiato quando i bagnanti sono andati via, stiracchiarsi verso la terra per riposare un po', abbracciare il cielo che lo ha sostenuto tutto il giorno.
La tua mancanza è un vuoto incolmabile.
Sono rotta in tanti punti e non c'è nessuno che mi aiuti con le fasciature; per me la civiltà non è ancora arrivata.
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